Bandi e opere, corsa contro il tempo: il Sud frena il Recovery
Luca Monticelli
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è ormai una corsa contro il tempo. I ritardi sui bandi e le opere si accumulano soprattutto nel Mezzogiorno e la via d’uscita individuata dal governo resta quella di spostare alcuni progetti sui fondi Coesione, per avere tre anni di tempo in più per spendere le risorse. Ma le regioni del Meridione temono che i loro programmi vengano scippati a vantaggio di quelli nazionali. Il governatore della Campania Vincenzo De Luca da giorni accusa il ministro Raffaele Fitto di «voler prendere tutti i soldi del Sud e spalmarli sul piano nazionale, con la scusa che noi non riusciamo a spenderli, e pagare così i costi energetici del Nord». Il Mezzogiorno non deve fare i conti solo con la storica incapacità di investire le risorse, ma anche con la carenza di competenze nelle proprie amministrazioni. Secondo uno studio della Svimez, il 62% dei Comuni del Sud ha giudicato complessa la partecipazione ai bandi del Pnrr, e le opere che procedono a rilento sono quelle fino a un milione di euro. Il ragioniere generale dello Stato, Biagio Mazzotta, ha comunicato l’altro giorno che «sono 164 mila i progetti presentati per il Pnrr, di cui 62 mila al Sud, ma solo un terzo ha ricevuto la necessaria validazione».
La gran parte degli interventi che potrebbero essere spostati dal Pnrr ai fondi Coesione e sviluppo riguarda la transizione “green” e digitale, le misure a favore del lavoro dei giovani e delle donne, il sostegno alle aree di Taranto (per l’ex Ilva) e del Sulcis (dove produceva l’Alcoa) e gli interventi di rigenerazione urbana nelle sei città metropolitane del Mezzogiorno: Bari, Palermo, Catania, Messina, Reggio Calabria e Cagliari. Il lavoro che sta portando avanti il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha anche un altro elemento su cui punta molto l’esecutivo di Giorgia Meloni: trasferire i progetti dal Pnrr alla Coesione, infatti, potrebbe liberare miliardi nel piano stesso, consentendo così al centrodestra di mettere mano concretamente a un pacchetto di interventi ereditati da Mario Draghi senza aver avuto, fin qui, margini di manovra.
Entri il 31 di questo mese l’Europa si accinge a dire sì alla terza rata del Pnrr da girare all’Italia, dell’importo di 19 miliardi; e la Commissione europea si appresta anche a dare luce verde al piano dell’Italia che ha chiesto di trasferire le opere del Pnrr che non potranno essere completate entro il 2026 – data limite in cui vanno spesi i soldi – sotto l’ombrello della Coesione, le cui risorse possono essere erogate entro il 2029. I fondi della Coesione, infatti, sono quelli del bilancio europeo del 2021-2027, soldi che possono essere spesi fino a due anni dopo la chiusura della programmazione pluriennale economica di Bruxelles. Per giustificare questo allungamento servono però delle «circostanze oggettive» che rendono impossibile la realizzazione dei progetti entro il 2027, come ad esempio la carenza di materie prime.