Quella partita doppia tra Schlein e Conte

Alessandro De Angelis

Da quando c’è Elly Schlein, Giuseppe Conte appare spiazzato perché dall’essere un problema per gli altri, si è ritrovato a gestire un bel problema in casa. C’è poco da fare: anche il suo eloquio un po’ barocco cozza con la disinvoltura con cui la neo-segretaria del Pd si muove nelle piazze, da quella antifascista di Firenze a quella arcobaleno di Milano. Piazze che hanno rivitalizzato sentimenti già esistenti. Mica è una novità che il Pd canta Bella ciao ed è schierato sui diritti, ma è chiaro che una giovane donna di sinistra-sinistra riesce a incarnare meglio questo sentiment, a parità di linea, rispetto a un democristiano come Enrico Letta. Ancor di più con un governo orgogliosamente polacco in carica. Dettaglio interessante: in entrambe queste occasioni, Elly Schlein non ha avuto neanche bisogno di parlare, lasciando che fosse l’argomento a imporsi, perché per biografia non serviva neppure.

Però il cammino è lungo e, quando c’è bisogno di parole e opere, più complicato. Non è solo questione di “fuori”, dove la neo-leader del Pd sembra essere più a suo agio, e “dentro” il suo partito, dove, dopo una settimana dall’insediamento, non ha ancora nominato capigruppo e gruppi dirigenti (a proposito di “cacicchi”, correnti e del loro potere di condizionamento). Ma è ancora un’incognita la costruzione di un popolo “fuori”, oltre le issues delle élite urbane. E l’avvocato del popolo che in questo derby a sinistra ha incassato un paio di goal (neppure l’immigrazione è il suo forte dai tempi dei decreti sicurezza) si prepara al contropiede sulla guerra (tema assai popolare). Sa bene che per Elly Schlein è complicato dire sì alle armi, e infatti domani in Parlamento la parola resterà innominata nella mozione del Pd, ma è altrettanto complicato dire di no, spostando senza traumi interni la collocazione internazionale del suo partito. E, in ogni caso, questo slittamento di cui si vedono i prodromi ha bisogno di tempo. Il che consentirà ancora al leader M5s di essere l’alfiere, agli occhi di un pezzo di opinione pubblica, di un pacifismo senza se e senza ma. E al Pd di apparire come il partito che quella posizione vorrebbe assumerla ma per ora non può.

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