Lavoro sottopagato tra precarietà, orari ridotti e contratti pirata: in povertà quasi 6 milioni di lavoratori
Luca Monticelli, Francesco Moscatelli
Abbiamo imparato il significato di “working poor” vent’anni fa con i film di Ken Loach, venendo a conoscenza di una grande massa di lavoratori che non guadagnano abbastanza da superare la soglia della povertà. Un fenomeno che adesso sembra diventato tipicamente italiano, visto che il nostro è l’unico tra i Paesi Ocse ad aver registrato un valore negativo (-2,9%) nella variazione dei salari medi tra il 1990 ed il 2020. In Francia, solo per fare un esempio, in questi ultimi trent’anni le retribuzioni sono aumentate del 31%.
Secondo uno studio commissionato dal precedente ministro del Lavoro Andrea Orlando ad un gruppo di esperti, un quarto dei lavoratori italiani è a rischio povertà. Se gli occupati in Italia sono oltre 23 milioni, ecco che ci troviamo di fronte a una platea di 5 milioni e ottocentomila persone in grande difficoltà. Precari, immigrati, part time, personale a servizio della gig economy, giovani del Sud e donne: sono loro gli “ultimi” che fanno fatica ad arrivare a fine mese.
L’economista Ocse Andrea Garnero, che ha partecipato allo studio del ministero di via Veneto, spiega: «Il lavoro povero deriva dai bassi salari, ma soprattutto dal fatto che molti dipendenti sono costretti a lavorare meno ore di quante vorrebbero. L’Italia ha il dato più alto dei Paesi Ocse di part time involontario. A questo bisogna aggiungere il precariato».
Un anno fa si cominciò a parlare di salario minimo a 9 euro e 50, tuttavia l’allora governo Draghi non riuscì a mettere in piedi una proposta sostenuta da tutta la maggioranza, e la premier Giorgia Meloni la settimana scorsa è andata al congresso della Cgil per ribadire il suo no al salario minimo.
Collaboratori e Partite Iva
Mezzo milione di
lavoratori, soprattutto giovani e donne, non solo fanno fatica a vivere
dignitosamente, ma non avranno neanche una pensione sufficiente.
L’indagine sui redditi dei parasubordinati, realizzata da Nidil Cgil e
Fondazione Giuseppe Di Vittorio, porta alla luce una vera e propria
emergenza sociale.
Il reddito medio di 211 mila collaboratori nel 2021 è stato di 8.500 euro lordi, 11 mila per gli uomini e 7 mila per le donne, che costituiscono il 60% del totale. La fascia di età fino a 34 anni rappresenta il 48% e guadagna in media 5.700 euro, mentre gli adulti da 34 a 64 anni sono il 49% e guadagnano 11 mila euro lordi all’anno. I senior, oltre i 65 anni, sono poco più del 2% e hanno un reddito lordo annuo di quasi 15 mila euro.
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