Lavoro sottopagato tra precarietà, orari ridotti e contratti pirata: in povertà quasi 6 milioni di lavoratori

Ci sono poi 341 mila professionisti che hanno portano a casa 15.800 euro lordi: 18.400 euro gli uomini e 13.200 le donne, che sono circa la metà. Le partite Iva under 34 sono il 33% e guadagnano mediamente 12.300 euro lordi l’anno, quelli tra i 35 e i 64 anni hanno un reddito lordo medio di 17.600 euro. Gli over 65 sono il 3% del totale e dichiarano circa 18.300 euro.

I dipendenti
«Il 30% dei lavoratori dipendenti guadagna meno di 12 mila euro lordi all’anno», evidenzia Elena Granaglia, docente di Economia di Roma Tre e membro del coordinamento del Forum Disuguaglianze e Diversità, che aggiunge: «Il grosso del lavoro povero si riscontra in settori come il turismo, ma anche nei servizi alla persona. È molto grave che attività così importanti come quelle svolte da chi assiste bambini, anziani e disabili vengano svalorizzate. E anche quello che sta facendo il governo con la riforma del reddito di cittadinanza non aiuta».

Nel rapporto che Granaglia ha curato insieme a Michele Bavaro e Patrizia Luongo si legge che l’incidenza dei bassi salari tra le donne è molto più alta che tra gli uomini, sia in termini di salario annuale che settimanale. Sebbene in Italia l’occupazione femminile sia stata in aumento negli ultimi decenni (seppure ancora sotto le medie europee), è la diffusione dei contratti part-time a penalizzare le donne rispetto agli uomini. Inoltre, i giovani (tra i 16 e i 34 anni) hanno un’incidenza di bassi salari quasi doppia rispetto al gruppo più anziano (tra i 50 e i 65 anni).

I contratti pirata
Michele Faioli, docente di diritto della Cattolica e consigliere del Cnel, ricorda che su mille contratti depositati ce ne sono 800 pirata: «Sempre più datori di lavoro puntano al ribasso, oltre al problema della retribuzione mensile questi contratti sono più deboli per quel che riguarda gli straordinari, la malattia, la maternità e in generale le tutele legate alla persona».

Equo compenso
Si avvicina il via libera definitivo delle norme sulla giusta remunerazione dei professionisti, orfani dal 2006 delle tariffe abolite con le “lenzuolate” di Bersani. Dopo l’ok del Senato di ieri sarà necessario un terzo passaggio alla Camera. Il provvedimento prevede che banche, assicurazioni e aziende con più di 50 dipendenti, o con un fatturato di oltre 10 milioni, debbano versare al professionista a cui affidano un incarico un compenso “equo”. Gli accordi per pagamenti al ribasso saranno considerati nulli. Gli ordini e i collegi potranno sia sanzionare gli iscritti che accettano di incassare somme al di sotto di quelle fissate dai parametri ministeriali, sia promuovere una “class action” per difenderli.

LA STAMPA

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