I dubbi di Fratelli d’Italia su Piantedosi e quella frizione Meloni-Salvini a Palazzo Chigi

di Marco Cremonesi e Monica Guerzoni

La disputa sul «bollino rosa» per la parità di genere nelle aziende. Il ministro vuole eliminarlo ma la premier lo difende

I dubbi di Fratelli d’Italia su Piantedosi e quella frizione Meloni-Salvini a Palazzo Chigi

È toccato a Matteo Piantedosi lanciare l’allarme migranti in Consiglio dei ministri, confermando quanto sia alto il livello di preoccupazione tra il Viminale e Palazzo Chigi. «Con questo trend di sbarchi e la situazione di Tunisia e Cirenaica, alla fine dell’anno potremmo contare 300 mila migranti arrivati sulle nostre coste — ha esordito il ministro dell’Interno — Sarebbe il dato più alto della storia della Repubblica». I colleghi hanno notato il silenzio della premier e ognuno lo ha interpretato a suo modo, chi come segno di assenso e chi come tacito dissenso. La paura è alta e un «big» di Fratelli d’Italia rivela l’imbarazzo nell’entourage della presidente: «Non è facile spiegare ai nostri elettori perché gli sbarchi sono in aumento. Hanno votato noi per avere più sicurezza e ora, che vedono le stazioni piene di ragazzi africani, si chiedono cosa stiamo facendo per cambiare le cose».

Con gli approdi quadruplicati rispetto ai primi tre mesi dell’anno scorso, quando a Palazzo Chigi c’era Draghi, è comprensibile che tutti gli occhi ieri fossero puntati su Piantedosi. Nei giorni drammatici di Cutro la premier lo ha blindato, consapevole che sostituire l’inquilino del Viminale avrebbe messo a a rischio la tenuta del governo, ma i mugugni hanno continuato a correre. Giorni fa il sottosegretario Alfredo Mantovano ha chiesto al responsabile del Viminale più cautela nelle esternazioni e dopo Cutro molti hanno notato e forse apprezzato il suo silenzio. Finché a Piantedosi non è scappato quel ragionamento poco felice sul buonismo di certa opinione pubblica, «fattore attrattivo» dei migranti irregolari. Chi continua a mostrarsi molto soddisfatto del «suo» ministro è Matteo Salvini. Lunedì sera, ai Giardini dell’Eden di Roma, il vicepremier brindava una volta ancora ai suoi primi cinquan’anni e l’unico ministro presente era proprio l’altro «Matteo». Il leader della Lega ha abbondato in abbracci e lodi per spazzare via le voci antipatizzanti, che a quanto pare sono arrivate anche a lui: «Chi tocca Piantedosi tocca la Lega».

Per tutta la giornata di ieri la comunicazione del segretario leghista e del Mit ha rivendicato e sottolineato, con note e video, come il leader abbia «piegato il partito dei NO» con il nuovo codice degli appalti, prontamente ribattezzato «Codice Salvini». Ma il Cdm ha visto un momento di frizione con la premier. È successo proprio sugli appalti, quando Salvini ha provato ad archiviare il «bollino rosa» che certifica la parità di genere nelle aziende. «Dobbiamo alleggerire la burocrazia», ha suggerito il ministro dei Trasporti. Ma le colleghe sono insorte. Santanché, Roccella, Calderone e altre hanno proposto di cambiare il meccanismo, ma di conservare il «bollino». È stata Meloni, raccogliendo l’assist delle ministre, a fare bruscamente la sintesi: «Il bollino rosa non si tocca, non possiamo farlo saltare proprio ora che c’è un premier donna. Cambieremo la modalità di certificazione ma la denominazione deve restare».

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