Bonomi: «Recovery, errori a monte. Seguire il modello Biden. Nomine, conti il merito»
L’altra grande riforma messa in cantiere da questo governo è la delega fiscale. Che ne pensa?
«Ci
sono lati positivi. Propongo da anni di far pagare meno tasse alle
imprese che investono e l’idea è buona. Sarebbe giusto riconoscere
sgravi anche per chi patrimonializza le imprese. Invece sono contrario
agli incentivi per assumere. A creare il lavoro ci pensa l’imprenditore
ed è il suo dovere, il governo deve tagliare le tasse sul lavoro
riducendo il cuneo fiscale».
Tutto questo va finanziato. Il governo
pensa a sfrondare la giungla delle spese fiscali. Lei accetterebbe tagli
a deduzioni e detrazioni alle imprese?
«Le spese fiscali
dedicate solo alle imprese valgono 14,3 miliardi l’anno. Sono disposto a
dire: cancelliamole. A patto però che i risparmi siano restituiti
riducendo il cuneo fiscale e non sprecati in spesa pubblica
clientelare».
Presidente, a forza di protestare con
l’Europa per la transizione verde, non resteremo indietro nella
rivoluzione tecnologica dell’auto elettrica che comunque non si ferma?
«Noi ci siamo svegliati tardi sul dirigismo green dell’Europa.
Non contestiamo gli obiettivi, ma la rinuncia alla neutralità
tecnologica. Perché alcune tecnologie vanno bene a priori ed altre no?
Così si creano le condizioni sbagliate per fare innovazione e ricerca.
Fra qualche giorno Eurostat pubblicherà un rapporto da cui emerge che
l’Italia è prima in Europa sul riciclo e recupero dei residui di
produzione. Ma che ne sarebbe di quest’industria se l’Europa decidesse
che il riuso va bene, ma il riciclo no? Sull’auto verde è uguale: perché
solo elettrica?».
Si direbbe però che su politica industriale e politica economica l’Italia in Europa resta senza alleati.
«È
un tema di tutti i governi, noi in Italia lavoriamo solo per emergenze.
Anche attorno al governo Meloni vedo polemiche su temi inutili, anziché
attenzione su quelli strategici. Come può un Paese del G7 perdere
settimane a dividersi sui balneari, rave party e altro?».
Vuole dire che servirebbe una leadership più ferma sulla politica economica?
«Guardi, non pretendo che il governo sia preparatissimo su tutti i
dossier di politica industriale. Certo è importante che si avvalga delle
migliori professionalità che il nostro Paese esprime».
Eppure il dibattito sulle nomine nelle controllate pubbliche sembra dominato dall’idea che questo o quello sono in corsa non perché capaci, ma perché amici degli uni o degli altri.
«In questo passaggio storico, con la pressione che arriva da Cina e Stati Uniti, l’industria è a rischio. Non servono risse su temi non strategici e questo vale anche per la scelta dei vertici delle partecipate pubbliche più importanti. Devono contare le competenze, non le affiliazioni».
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