Mario Monti: “Il governo non incoraggi i furbi. Europa frugale, se salta il Pnrr”
Se l’osservanza delle leggi, il rispetto delle regole, l’adempimento degli obblighi fiscali, la competizione sul merito, la lotta alla corruzione sono visti come fastidiosi impedimenti alla crescita; se la lubrificazione dei circuiti economici in modi illegali viene tollerata e addirittura vissuta come salutare sprigionamento dell’iniziativa economica; se la svendita dello Stato per acquistare voti – attraverso la tolleranza dell’evasione, condoni, concessioni a valori ben inferiori a quelli di mercato, infinite tipologie di bonus e superbonus – è considerata come facilitazione necessaria per la crescita, allora è difficile ottenerla davvero, la crescita durevole e stabile. Sembra sempre più chiaro che nella maggioranza coesistano forze che, su tali questioni fondamentali non solo per la civiltà di una Nazione ma anche per la sua crescita economica, hanno visioni diverse, a volte contrapposte».
L’ennesimo condono nella veste dello scudo penale rientra tra le svendite dello Stato?
«Sì,
certo. Nell’immediato, fa sì che gli onesti si sentano sempre più fessi
rispetto ai “furbi”. A più lungo andare, è un forte incentivo ad
adeguarsi al costume nazionale, di evadere almeno un po’, con
l’incoraggiamento del governo».
Bruxelles potrebbe prendere atto, sancendo il taglio?
«Per
l’Italia e per il governo è un momento di difficoltà, che dovrebbe
indurci a qualche riflessione di fondo. Dovremmo augurarci tutti, specie
in questa occasione, che la Commissione europea sia con tutti i Paesi,
compresa l’Italia, molto rigorosa. Non credo che questo possa essere
considerato un atteggiamento anti-italiano, perché è uno dei molti casi
in cui sarebbe superficiale prendere per oro colato che sia davvero
“interesse nazionale” quello che viene dichiarato tale dalle autorità.
Spesso l’interesse nazionale è di più lungo periodo. E’ stato interesse
nazionale riuscire a piegare, poco per la verità, le norme sugli aiuti
di Stato all’Alitalia? O sarebbe stato interesse nazionale sentirsi dire
più rigorosamente: non andate avanti a disperdere i soldi dei vostri
cittadini?».
Sulla riforma delle pensioni, il presidente Macron ha
rivendicato il diritto all’impopolarità: la protesta così prolungata ed
estesa della piazza impedirà che quello strappo faccia scuola anche in
altri Paesi, a cominciare dall’Italia?
«La merce rara per
governare bene non è tanto la competenza, quella sarebbe meglio ci fosse
sempre sia nei governi tecnici o politici. È un’altra cosa, una cosa
che i “tecnici” dovrebbero avere, ma non è detto che sempre abbiano, più
dei politici: l’essere disposti a perdere in popolarità, immagine,
simpatia, consenso pur di realizzare l’interesse del Paese. E’ la cosa
decisiva. La più grande lezione l’ha data Helmut Kohl: nel 1998 sostenne
la moneta unica, mentre il suo sfidante Schroeder compiaceva il
desiderio dei tedeschi di tenersi il beneamato marco. Kohl perse le
elezioni, ma ha realizzato una cosa storica per l’Europa».
La vicenda francese sulle pensioni chiama in causa la rigidità del sistema presidenzialista. Nell’Italia di oggi potrebbe servire o avrebbe un effetto incendiario?
«In Francia il presidente è eletto dal popolo ed è il capo di una parte politica. E quindi, se vogliamo, è lui che scende in piazza prima che la piazza salga all’Eliseo. Per l’Italia la considererei una riforma pericolosa, perché avrebbe effetti opposti a quelli auspicati da chi la propugna. L’Italia rischierebbe di diventare un Paese meno governabile e più conflittuale. Toglierebbe di scena l’unica figura, il presidente della Repubblica eletto dal Parlamento, non capo dell’esecutivo, e che viene rispettato da tutte le parti politiche, esercitando un ruolo di moderazione».
LA STAMPA
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