Decreto Schillaci, solo cipria sui mali profondi della Sanità

Eugenia Tognotti

Una spolverata di cipria; o, si potrebbe dire, un pannicello caldo, per restare in tema. È quanto viene da pensare di fronte a una serie di articoli concernenti la sanità nel Decreto bollette, approvato dal Consiglio dei ministri. Quali effetti – viene spontaneo chiedersi – sono in grado di dispiegare quei provvedimenti di ordine normativo, che non prevedono impegni di spesa (o quasi) nel contesto di emergenza nazionale sanitaria in cui ci troviamo? E ancora. È pensabile che possano influire sull’efficienza del sistema e sulla qualità dell’assistenza in una condizione in cui la salvezza del Ssn e il sistema pubblico di cure richiedono adeguate risorse economiche e nuovi modelli organizzativi?

Nessuna meraviglia che l’Intersindacale medica abbia vigorosamente protestato, salvando le parti che riguardano il fenomeno dei “gettonisti” e l’anticipo delle indennità di straordinario per i pronto soccorso. Il ministro Schillaci ha assicurato che trattasi solo di un primo passo verso una riforma complessiva della sanità. Con la quale s’intende, tra l’altro, ridare al Servizio sanitario nazionale un appeal al cui crollo hanno contribuito le condizioni di lavoro e retributive nella sanità pubblica, con stipendi fino al 40 per cento più bassi degli altri Paesi europei.

Siamo di fronte a una delle tante promesse seriali di riforma; mentre – spinta da diversi fattori tra cui la pandemia e i ritardi della “Missione salute” prevista dal Pnrr – permane la mancanza di integrazione tra ospedali e servizi territoriali e la combinazione tossica tra calo progressivo del personale sanitario e aumento della popolazione anziana, con complesse multimorbidità che influiscono sulla domanda di cure.

Tra le novità contenute nel Decreto gli incentivi – peraltro già previsti da tempo – destinati agli operatori sanitari che lavorano nei reparti di urgenza/emergenza; una maggiore flessibilità per l’arruolamento degli specializzandi e dei camici bianchi stranieri e per la stabilizzazione di chi, per quanto privo di una specializzazione, ha maturato esperienza sul campo. Uno degli articoli prevede inoltre l’inasprimento delle pene e la procedibilità d’ufficio per chi aggredisce e minaccia gli operatori sanitari, un fenomeno in crescita, che riguarda in particolare gli infermieri/e.

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