Bomba a San Pietroburgo, pista ucraina o faida nazionalista: non è un attentato qualunque

Prigozhin e i suoi Wagner si sono fatti troppi nemici nell’establishment russo, soprattutto quello militare, e l’apparizione accanto a Putin di personaggi come Tatarsky, un ex detenuto che pregustava di «uccidere tutti», non è la compagnia adatta per un presidente che sta cercando una exit strategy da una guerra persa. Proprio ieri Anthony Blinken e Sergey Lavrov sono tornati a sentirsi per la prima volta dopo moltissimo tempo, per discutere la liberazione del reporter del Wall Street Journal Evan Gershkovich, arrestato dai russi con l’accusa di spionaggio. Secondo varie fonti, il Cremlino vorrebbe scambiarlo con le sue spie catturate in Europa nelle ultime settimane. Una trattativa che per ora, a giudicare dal duro comunicato di Mosca, è soltanto agli inizi. Ma per negoziare, uno scambio di prigionieri oppure una tregua come quella proposta due giorni fa dal dittatore belarusso Aleksandr Lukashenko, bisogna mostrare al mondo una faccia più presentabile di quella di un blogger nazionalista o un capo dei mercenari. Se Putin decidesse di fare marcia indietro, i primi a pagarne il prezzo sarebbero proprio i «patrioti», quelli che griderebbero al «tradimento».

LA STAMPA

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