Lo scontro tra Meloni e la Lega sul Pnrr, punto per punto
• Perché sposta il quadro?
Perché
Fitto, plenipotenziario per il Pnrr, nei giorni scorsi ha parlato di
una «rimodulazione» del Piano che differisca l’utilizzo di una parte dei
fondi, ma senza rinunciarvi. Per il ministro ci sono «tre programmi da
connettere», il Pnrr, i fondi di coesione e i fondi di sviluppo. In
sostanza, ha spiegato Marco Galluzzo, si tratterebbe di spostare «alcuni
progetti del Pnrr sui Fondi di coesione, che possono coprire appalti e
programmi da mettere a terra entro il 2029». I «buchi» nel Pnrr
sarebbero così coperti dopo la sua scadenza e sotto altra forma, e
intanto i fondi sarebbero concentrati sui progetti fattibili entro la
scadenza del 2026.
• Come ha risposto Meloni?
In modo perentorio:
«Non prendo in considerazione l’opzione di perdere le risorse, ma solo
quella di farle arrivare a terra in maniera efficace, e tutto il lavoro
che questo richiede è un lavoro che noi faremo». Anche fonti del governo
hanno replicato a Molinari: «L’ipotesi di rinunciare a una parte dei
fondi non è sul tavolo. Stiamo lavorando per rimodulare il piano». A
questo punto, la stessa premier potrebbe intervenire in Parlamento per
chiarire le sue intenzioni, come chiede l’opposizione.
• Perché citare i prestiti non è irrilevante?
Perché
non sono una parte insignificante del Pnrr, ma quella portante: sui
191,5 miliardi di risorse messi a disposizione dall’Ue, 122,6 miliardi
sono finanziati tramite prestiti (loans) e 68,5 da sovvenzioni a fondo
perduto (grants). I prestiti sono a scadenza lunghissima (trentennale) e
a tassi ultra agevolati, praticamente a zero. Condizioni irripetibili
per un Paese come l’Italia, soprattutto ora che i tassi non sono più
addomesticati.
• Dunque le parole di Molinari hanno un peso?
Eccome. Prima Ora ha approfittato a tarda sera della gentilezza di Federico Fubini, e il suo whatsapp spiega tutto:
«Rinunciare ora ai prestiti vorrebbe dire che il governo non sarebbe in grado di programmare investimenti che rendono più dello zero-virgola che costa quel debito. Segnale politico non buono. A me pareva che Fitto non volesse rinunciare ai prestiti, ma la Lega mette una bella zeppa anti europea. Se l’Italia fa un passo indietro e sventola già una mezza bandiera bianca, ci sarebbero due conseguenze: verrebbero riviste al ribasso le nostre prospettive di crescita al 2026 (potenzialmente non buono per la sostenibilità del debito) e in Europa si rischierebbe di mettere una pietra sopra ad altri piani di debito comune, se il principale beneficiario dicesse che in realtà non riesce a farne uso fino in fondo».
•E sul piano politico?
Qui la palla passa a Massimo Franco: «La presa di posizione di Molinari è talmente enorme che poteva far pensare a una uscita isolata e non concordata con nessuno. Il problema è che è arrivata dopo giorni di polemiche sui ritardi del governo nella realizzazione di alcuni progetti, e i tentativi di scaricare sugli esecutivi del passato gli obiettivi “irrealizzabili”. E questo acuisce la preoccupazione e mette in imbarazzo Palazzo Chigi e i suoi alleati». «Meloni si è affrettata a precisare che uno scenario del genere “non è sul tavolo”. Ma un qualche ripensamento è in atto, perché si sta lavorando “per rimodulare il Piano e risolvere le criticità”. Il tema è strategico per il futuro, e trovarsi improvvisamente di fronte a una fotografia della situazione non solo pessimistica ma opaca fa impennare l’allarme. È vero che da mesi Fitto sussurrava le sue perplessità su quanto era stato messo in cantiere da Mario Draghi. La differenza, rispetto alla maggioranza di oggi, è che l’ex presidente della Bce godeva di un’autorevolezza tale da mettere a tacere perplessità e dubbi. In più, Draghi aveva dovuto riscrivere a tempo di record il piano preparato in modo abborracciato dal governo del grillino Giuseppe Conte». «Ora è come se di colpo spuntassero tutte le contraddizioni. La cosa singolare è che a renderle pubbliche sono stati lo stesso Fitto e ieri il leghista Molinari con un ulteriore passo avanti, o indietro. Ma le sue parole sono un’ammissione di impotenza. Ufficializzano l’ipotesi estrema, con uno sconcertante: “Nessuno ci obbliga a prenderli”».
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