Donald e la giuria, duello raffreddato: in gioco c’è la democrazia americana

La corte ha preso decisamente la strada di evitare lo spettacolo della giustizia: ha preso un altro po’ di tempo, dopo le rivelazioni sull’arresto; ha evitato il rito della foto segnaletica, delle manette; ha presentato le 34 accuse con attenzione a non trasformarle in un comizio sulla immoralità dell’uomo (che pure di fatto è la vera accusa); ha persino sottolineato che questi procedimenti non impediscono la corsa alla presidenza. Già, la corsa a ricandidarsi per le presidenziali del 2024 – che è poi null’altro che l’oggetto del desiderio dietro tutta questa storia. I democratici, si dice, vorrebbero che Trump corresse, perché con queste accuse addosso sarebbe facile sconfiggerlo. E se la cautela di queste ore fosse segno di una esitazione in campo democratico proprio su questa previsione?

Cautela (forse) anche in campo repubblicano, dove tutti, anche i nemici (leggi: Pence) dell’ex presidente, e i suoi 4 potenziali sfidanti alla corsa presidenziale, si sono immediatamente allineati in difesa. In particolare, sveltissimo è stato il suo più serio sfidante, DeSantis, governatore della Florida. Segno anche questo che il Trump finora considerato un peso di cui liberarsi per la rigenerazione del partito repubblicano, è forse tornato a essere guardato come un vincitore?

Infine, i supporter del tycoon newyorkese, i “proud boys”, e tutti gli altri gruppi, non paiono stavolta aver risposto in massa all’appello. Molti i tifosi di Trump presentatisi, ma, si faceva notare, i “proud boys” e le altre sigle sono stati sfoltiti dalle condanne per l’attacco del 6 gennaio a Washington, e al momento stanno prendendo le misure del tutto.

Al momento, appunto, questa è la situazione, passibile di diventare diversa ogni ora e ogni giorno futuro.

Un solo elemento è fermo – e questo potrebbe e dovrebbe essere il punto di non ritorno di una riflessione: la politicizzazione della Giustizia come arma di parte nella lotta politica ha fatto molti danni, e tutti irreversibili, in molte delle più forti democrazie. Lasciando dietro di sé disorientamento e sfiducia nelle istituzioni, pagati poi con la credibilità dell’intero sistema. 

LA STAMPA

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