Renzi, Il Riformista e la teoria dell’alibi. Centomila ruoli, nessuna responsabilità

Per valutare Matteo Renzi oggi occorre non stare al suo gioco, verificarne l’alibi e disgiungere. Che cosa? Il politico dall’uomo. Il primo sembra avviato lungo un viale al cui fondo lo attende Gloria Swanson pronta a farsi parafrasare: «Io sono ancora grande, è la politica a essersi rimpicciolita». A guardarlo e ascoltarlo si prova un fremito, come un’eco, una sensazione lontana. Nostalgia, ecco che cos’è. Di quando c’erano Tony Blair, Barack Obama e appunto,Matteo Renzi. Poi, che cosa è successo? È scaduto il tempo o sono scaduti loro? Dal salone vuoto del Grande Gatsby Lana Del Rey canta una retorica profezia: «Mi amerai ancora quando non sarò più giovane e bella?». Francamente, mia cara, la risposta è no. Il Renzi politico di ora si intesta un’illusione che non si sarebbe concesso allora. Anziché inseguire un sentimento, lo evoca. Anziché individuare un pubblico, lo sogna. I terzisti. I moderati. Le sfumature di grigio in un tempo bianco e/o nero. Agita una bandiera senza colore, indica un ideale pragmatico e/o onirico. Né radicali, né sovranisti. Se ci crede, è una cosa nobile. Gli si conceda il beneficio dell’indicativo, anziché la diffidenza del congiuntivo. Resta l’impressione che non possa più stare a sinistra, non possa buttarsi a destra e cerchi di iscrivere alle Nazioni Unite la sua no man’s land, un’isoletta da naufrago che non è grande abbastanza per lui e Calenda, «entusiasta della nuova avventura». Perché è la fine di «una bella amicizia»? Scompare anche il terzo polo come l’abbiamo conosciuto? Il problema per l’eventuale lapide non sarà individuare la data terminale, ma quella iniziale. Per Renzi si suggerisce un trattino e «continua», come per una serie tv che prima o poi scriverà, o in cui reciterà.

Quanto all’uomo, ha ancora il grande avvenire che il politico si è lasciato alle spalle. La sua irrequietezza è affascinante. Il suo uso frequente del sostantivo «narrazione» è la chiave. È come se scrivesse la propria autobiografia vivendo (e più o meno lo fa). Al termine di ogni capitolo, precipitando dal cliff-hanger, si chiede che cosa renderebbe più interessante il successivo. Si sfracella, si rialza e va a giocarsela al tavolo dell’esistenza seguente. Contemporanea, direbbe lui: il gatto con nove vite in una. Dopo aver sistemato tutti i suoi fedeli, ora può rischiare in proprio. È infido con i pari grado quanto leale con i sottoposti. E questa è una dote.

Durante la diretta Facebook per l’annuncio del nuovo incarico uno dei suoi adoranti sostenitori ha evocato la «mossa del cavallo». Aggiungendo: di razza. È una manovra degli scacchi, divenuta metafora di una iniziativa imprevedibile per uscire da una situazione critica. Sembra più la «mossa del matto». Ha a che fare con la scherma: la compie lo spadaccino spalle al muro. Con una capriola salta sull’avversario e ricompare con la lama puntata alla sua schiena. Un, due, tre, oplà: Matteo è risbucato alle spalle di Renzi.

LA STAMPA

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