Il Papa e l’udienza al freddo (dopo l’infezione e il ricovero): «Sono ancora vivo»

di Aldo Cazzullo

L’udienza all’aperto, nonostante il ricovero per un’infezione polmonare. Bergoglio gira in sedia a rotelle per i saluti e risponde alle domande: «Santo Padre, ci ha fatto spaventare. Come sta davvero?»

Il Papa e l’udienza al freddo (dopo l’infezione e il ricovero): «Sono ancora vivo»

Alle 9 meno 10 del mattino, quando Francesco appare sulla Papamobile circondato da bambini in cappellino bianco, fa più freddo che a Natale. Eppure l’udienza del mercoledì prima di Pasqua è prevista all’aperto, qui in piazza San Pietro. E il Papa è reduce dall’infezione polmonare e dal ricovero al Gemelli.

«Quest’udienza l’ha organizzata padre Georg o qualche altro nemico» scherza un fedele. Gli altri però non colgono l’ironia e appaiono sinceramente preoccupati. Sono migliaia, ma ci sarebbe stato posto nell’Aula Paolo VI, al coperto. Invece il Papa si siede sotto il baldacchino, riscaldato dai pannelli elettrici del tetto, ma esposto al vento e al gelo; e comincia a tossire. I fedeli seguono con apprensione ogni suo movimento. Ora Francesco ha chiesto un bicchiere d’acqua. È tutto un brusio: «Il Papa sta male, il Papa sta male…». «Non capite? Ha voluto tenere l’udienza all’aperto proprio per far vedere che sta bene, che ce la fa, che ora celebra pure la Via Crucis e la Messa di Pasqua!». Il Papa adesso si fruga nella tasca alla ricerca di qualcosa. Fazzoletto? Rosario? No, la custodia degli occhiali da lettura.

Quando prende la parola, la tensione si scioglie. La sofferenza o anche solo il disagio di Bergoglio diventano fuoco, energia. «Perché tanta indifferenza verso Dio? Perché tanto male nel mondo? Guardate quanto male c’è nel mondo!». Francesco scuote le coscienze, come sempre: «Perché le disuguaglianze continuano a crescere? Perché la sospirata pace non arriva? Perché quella sensazione che i tempi passati fossero migliori e che nel mondo, magari pure nella Chiesa, le cose non vadano come una volta?».

La risposta il Papa la dà nella sua lingua madre, il castigliano, salutando i fedeli che sventolano bandiere argentine, spagnole, boliviane. «La Pasqua può essere un nuevo comienzo, un nuovo inizio. È sempre il momento per cominciare. Per convertire il male in bene, il dolore in amore. Per dimenticarci di noi stessi». Il narcisismo, l’accumulazione dell’inutile – «a Santa Marta, dove abito, abbiamo deciso di disfarci delle cose superflue per darle ai bisognosi: erano tantissime» -, il maquillage per nascondere le ferite: «Ma poi il trucco cola, e resti con la tua vera faccia. Quella che Dio ama».

Ora il Papa parla a braccio, senza leggere: «Quando potevo andare in giro – mi è sempre piaciuto andare in giro, adesso non mi lasciano più – mi piaceva vedere gli sguardi della gente. Ma spesso erano sguardi tristi. Gente che va in giro parlando con se stessa. Gente sempre china sul telefonino». Una signora in seconda fila ride, il Papa un po’ ride con lei, un po’ la rimprovera: «Sì, tu ridi, ma guarda che è così! Tutti sempre con il telefonino!».

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