Pnrr, l’inganno degli alberi da piantare: interrati solo i semi

I semi non sono alberi

I carabinieri si chiedono: «Cosa controlliamo?» E si arriva così all’equivalenza semi/alberi. Sarà valida? La Corte dei conti è scettica: secondo i magistrati, «emergono dubbi e perplessità sulla effettiva proponibilità di una tale equiparazione» (relazione del 14 marzo 2023). Anche perché «a tutt’oggi la Commissione europea non si è ancora espressa sulla correttezza dell’interpretazione» del Ministero. Il tema ha anche un’implicazione giuridica. Nella relazione del 29 novembre 2022, i carabinieri del Lazio spiegano: «La semina in vivaio non può essere assimilata alla forestazione urbana e, pertanto, neanche essere oggetto di collaudo ai fini del raggiungimento degli obbiettivi del Pnrr». La semina è «un’attività extra progettuale», quindi non è finanziabile; mentre «la forestazione urbana racchiude l’insieme degli interventi sul sito finale e si conclude con l’attestazione della regolare e corretta esecuzione dei lavori». In una formula più semplice: si può verificare se un progetto sia realizzato o no; ma dato che oggi i nuovi boschi non esistono, non si può certificare di fronte alla Commissione europea che in futuro (forse) quei boschi spunteranno. Sarebbe una sorta di mostro giuridico. La forza con cui la Corte dei conti appoggia questa posizione sta tutta in un avverbio: «Il Collegio condivide convintamente tali valutazioni, tecnicamente motivate». Conseguenza: se «la Commissione europea non dovesse considerare equivalente la semina in vivaio con la messa a dimora degli alberi, il target 2022 non sarà stato raggiunto».

Vecchi progetti

Una piccola parte dei fondi (fino a 30 milioni) prevede di finanziare anche «progetti già in essere». In pratica, se una Città ha un progetto approvato, o già partito, che corrisponde ai criteri del bando, può farlo rientrare sotto l’«ombrello» del Pnrr. A fine del 2021, il Ministero ne accoglie 34. Passano i mesi. E a fine 2022, sempre i carabinieri, verificano anche come stanno andando. Questo è l’esito dei verbali. Partiamo da Genova: «Le aree oggetto di riforestazione sono prevalentemente già boscate»; «Non è stata riscontrata la messa a dimora delle 868 piante dichiarate; quasi tutte si sono seccate».
Torino
: «Numero elevato di piante morte, in alcuni casi anche il 100 per cento». Reggio Calabria: «L’area versa in stato di abbandono con gli alberi soffocati da piante infestanti». Nel complesso, i carabinieri «riscontrano significativi ritardi di esecuzione».

Il caso Milano

In questo quadro, il caso Milano è emblematico. La Commissione chiede che siano piantate solo specie autoctone, e che le aree minime per i nuovi boschi siano di almeno un ettaro. La Città metropolitana lombarda non ha aderito al bando perché questi spazi non ci sono. Il suolo è troppo sfruttato dal cemento, e dove c’è del verde è occupato da aree agricole. Col paradosso che, dove ce ne sarebbe più bisogno, la riforestazione del Pnrr non è possibile. In realtà, fra il 2018/2019 Città metropolitana, Comune, Regione e Fondazioni si sono messi insieme e hanno dato vita al progetto Forestami (un caso di studio a livello europeo che nulla ha a che fare con il Pnrr).

Le considerazioni del presidente del comitato scientifico, Stefano Boeri, indicano due aspetti decisivi: «Forestami in questi anni ha sempre piantato alberi, non semi…». E soprattutto: «Stiamo cercando di far cambiare i criteri con cui si finanzieranno le aree da forestare nel prossimo bando. Ora si insiste nel chiedere una dimensione minima di un ettaro, senza capire che la vera sfida è quella di piantare alberi ovunque sia utile e possibile, anche lungo i viali, nei cortili, nelle piazze». Seguendo questa logica in poco più di tre anni a Milano sono stati piantati 427 mila alberi. dataroom@corriere.it

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