Il piagnisteo acchiappaclic della donna di Elly
Alla fine il trucco è sempre lo stesso: lamentarsi pubblicamente per la improvvisa visibilità ottenuta per ottenerne ancora di più. Perché in fondo è sempre chic fingersi annoiati e anche un po’ disgustati per essere finiti sulla prima pagina di un rotocalco. Si scrive privacy e si legge voglia di follower. In tutti i sensi.
Certo, non abbiamo dubbi che Paola Belloni (nella foto), compagna della neo segretaria del Pd Elly Schlein, avrebbe preferito finire sulla copertina di Micromega o di Internazionale, invece che su Diva e Donna, ma da qualche parte bisogna pur sempre incominciare, no? Per un ritratto sul New Yorker c’è sempre tempo.
Così lunedì sera – immaginiamo dopo cogitabonde meditazioni e dibattiti rigorosamente collegiali – la first lady dell’opposizione rompe gli indugi e affida tutto il suo livore per la privacy violata a un post pubblicissimo sul suo profilo accessibile a chiunque su Instagram. Il tutto corredato da una bella foto posata, con tanto di fotografo taggato. Alla stregua delle più rodate influencer.
E poi principia la rampogna con una prosopopea in bilico tra il sempiterno nannimorettismo, la dialettica di una assemblea di istituto incastrata in un infinito loop sessantottino e – non c’è neppure bisogno di dirlo – tutte le ossessioni lgbtqia+. «Non mi hanno vista arrivare e quindi hanno tirato fuori i teleobiettivi», attacca citando la Schlein, ma pure la Meloni. E poi subito due colpi di schwa da mandare ko il buon senso: «Car* giornalist* di @divaedonna_settimanale, comunicare a mezzo stampa l’intimità affettiva di una persona è un atto ingiusto e si chiama outing. Io ne son stata travolta, ma per fortuna non annichilita». Si parte col vittimismo e si arriva subito alle rivendicazioni di genere, anche se forse la massima rivendicazione sarebbe stata proprio non nascondere la propria relazione, ma quelli sono fatti così privati che infatti adesso le recriminazioni vengono ostese su un social pubblico: «In Italia non abbiamo il matrimonio egualitario, non abbiamo tutele per i figli e le figlie di famiglie omogenitoriali, non abbiamo una legge contro l’omolesbobitransfobia. Il coming out è una scelta personale, che deriva anche da un’analisi della propria rete sociale». Si sente già profumo di politica, molto radical e ancor di più chic, perché alla fine – non senza ironia – il problema era (come direbbero gli influencer) l’outfit: «Ammetto però che la foto con la papalina di lana in testa e con il sacchetto dei bisogni di Pila in mano era notevole.
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