Jet cinesi su Taiwan con munizioni vere: le parole di Macron diventano un caso

di Paolo Salom

Pechino accusa gli Usa per una nave a 1500 chilometri di distanza. Il portavoce Shi Yi avverte: «Truppe pronte a combattere in qualsiasi momento»

Jet cinesi su Taiwan con munizioni vere: le parole di Macron diventano un caso

Le prove di guerra sono finite. Ma i soldati non hanno riposto i loro fucili. La Cina ha completato «con successo» le esercitazioni militari attorno a Taiwan e le forze armate sono «pronte a combattere in qualsiasi momento», dichiara una nota del Comando orientale dell’Esercito Popolare di Liberazione a conclusione, ieri, di tre giorni di esercitazioni militari intorno all’«isola ribelle». Per Pechino solo una «provincia» che vuole vedere tornare «al più presto» nel suo seno: con le buone (improbabile, dopo la «normalizzazione» di Hong Kong) o con le cattive.

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Dunque, dopo 72 ore di incessanti «prove» di conquista, aerei e navi sono rientrati alle loro basi continentali. Ma, avverte il portavoce Shi Yi, le truppe «sono pronte a combattere in qualsiasi momento, e a distruggere risolutamente ogni forma di separatismo, di indipendenza di Taiwan e tentativi di interferenza straniera». Quest’ultimo riferimento è all’incontro di Los Angeles tra la presidente taiwanese Tsai Ing-wen e lo speaker della Camera dei Rappresentanti Usa, Kevin McCarthy, settimana scorsa, contro cui, appunto, aveva minacciato «risolute contromisure».

Eccole le contromisure: quasi cento aerei da caccia, armati con «munizioni vere» e una dozzina di bastimenti, compresa la portaerei Shandong, fiore all’occhiello della Marina cinese, che hanno simulato il blocco dell’isola e la distruzione di obiettivi e basi «ribelli».

Immediata la condanna del ministero degli Esteri di Taiwan che ha accusato la Cina di aver minato «la pace e la stabilità» nella regione, aggiungendo come Taipei manterrà stretti legami con gli Stati Uniti «per impedire in modo congiunto l’espansionismo autoritario». In effetti, Washington, di fronte all’ennesima prova di forza, ha ordinato al cacciatorpediniere lanciamissili Milius di effettuare un passaggio nel Mar cinese meridionale — un passaggio «prudente» data la distanza, poco meno di mille miglia nautiche (1.500 chilometri), dall’area delle operazioni. Ma capace di suscitare l’immediata reazione di Pechino, dal momento che per la Repubblica Popolare quella vasta e delicatissima area del mondo è tutta compresa, a dispetto delle norme internazionali, all’interno delle proprie acque territoriali. Dunque gli Stati Uniti «si sono intromessi illegalmente» con il proprio cacciatorpediniere, che è stato «monitorato momento per momento» dal locale comando militare. In realtà, le manovre anti-Taiwan non hanno suscitato soltanto la risposta americana. In Allarme anche il Giappone dove sono stati mobilitati due gruppi di aerei per sorvegliare le navi cinesi. Tokyo ha confermato per la prima volta che le navi si stavano muovendo in aree vicino a Okinawa, estremo sud del Giappone, dove corre una linea immaginaria che segna il confine tra Occidente e spazio cinese.

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