Governo, il principio di realtà

MASSIMO FRANCO

Attribuire le responsabilità di quanto accade solo al governo in carica sa di alibi delle minoranze almeno quanto sa di scaricabarile della destra la tentazione di addebitarle all’esecutivo di Draghi. Sarebbe meglio prendere atto della situazione e discuterne in modo meno elettoralistico

Governo, il principio di realtà
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)

È difficile sottrarsi all’impressione di un governo sovrastato dalle emergenze. E circondato da una mole così imponente di variabili, da essere costretto a fotografarle e arginarle: senza potere ancora abbozzare una strategia in grado di prevenirle e sconfiggerle. Vale per l’immigrazione, che si presenta come un problema strutturale, fronteggiato ieri con la proclamazione di uno «stato di emergenza» di sei mesi. Anche lessicalmente, infatti, la risposta riflette un fenomeno difficilmente governabile; e aggravato dalla persistente indifferenza di gran parte dei Paesi europei.

Può darsi che alla fine il provvedimento serva davvero a rendere più efficaci e rapide le risposte. Ma sia l’esiguità dei fondi destinati allo scopo, sia i timori di un aggravamento del problema, già emerso nelle ultime settimane, consigliano cautela. Sottolineare troppo l’efficacia di misure che alla fine debbono fare i conti con una realtà difficile rischia sempre di rivelarsi a doppio taglio; e di dare fiato a opposizioni che oscillano tra istinti autodistruttivi e estremismo antigovernativo. Si tratta di dinamiche sempre più evidenti anche quando si parla di Piano per la ripresa.

Il fatto che la logica emergenziale si proietti quasi per inerzia perfino su un progetto strategico per l’Italia, finisce per oscurare limiti oggettivi e margini di manovra risicati.

Per quante critiche si possano rivolgere al governo di destra guidato da Giorgia Meloni, sottovoce il giudizio condiviso è che qualunque esecutivo si sarebbe trovato a affrontare problemi simili: di ritardi, di infrastrutture inadeguate, di difficoltà a spendere i finanziamenti europei.

L’opacità che si riscontra in alcuni dei progetti in incubazione è in primo luogo il frutto di una zavorra burocratica e culturale; e di un cambiamento dello sfondo in cui l’esecutivo è costretto a operare. Pandemia ma soprattutto aggressione russa all’Ucraina sono oggettivamente elementi di trasformazione dai quali nessuna nazione europea può prescindere. Probabilmente, quando a Palazzo Chigi c’era Mario Draghi, la durezza della realtà veniva percepita in modo meno drammatico. Ma si intravedeva già allora.

È comprensibile che da sinistra si accusi Palazzo Chigi di mettere in discussione un’occasione storica per riformare il Paese. L’ammissione delle strozzature, fatta nelle scorse settimane da esponenti del governo, conferma un percorso tutt’altro che facile. Rivela la volontà di non nascondere una serie di passaggi che metteranno a dura prova la credibilità dell’Italia; e di evitare che una battuta d’arresto sui finanziamenti possa essere sfruttata da chi in Europa li ha sempre considerati troppo generosi, e magari aspira a ricalibrarli a proprio vantaggio.

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