Valerio e Odifreddi tra divino e tecnologia
E poi c’è la magia dei ciarlatani i quali vorrebbero farti credere che i loro esperimenti sono effettivamente dei miracoli. La tecnologia è la magia di cui si sa che dietro c’è il trucco.
Valerio: «Voglio precisare un concetto a cui tengo: in un mondo in cui i dispositivi si dematerializzano – non ci sono più per esempio gli hard disk che sono stati sostituiti dagli iCloud – si potrebbe arrivare a pensare che i movimenti del corpo, che sono relativi all’accensione di dispositivi dematerializzati, siano movimenti rituali come quelli per la danza della pioggia».
Quali sono gli altri punti di contatto tra tecnologia e religione?
Odifreddi: «Era molto diversa la visione del cristianesimo che avevano i due apostoli Pietro e Paolo. Pietro pensava che il verbo di Gesù dovesse essere diffuso soprattutto tra gli ebrei che si sarebbero convertiti alla nuova religione. Paolo era l’apostolo dei gentili e sosteneva che il cristianesimo avrebbe dovuto essere una religione per tutti, cosa che poi è diventato. Visioni analoghe le ritroviamo nell’operato di Bill Gates e di Steve Jobs. Il fondatore di Microsoft è come Pietro: quando l’azienda multinazionale statunitense d’informatica prese avvio era concepita come un’impresa dedicata agli informatici. Se avesse vinto la visione di Gates oggi l’informatica sarebbe esclusivamente nelle mani degli specialisti. Il progetto del cofondatore di Apple ha analogie con l’impostazione dell’apostolo Paolo: far diventare il computer qualcosa per tutti. Noi tutti usiamo il computer ma non tutti sappiamo programmare. Questo nostro limite ovviamente mette un filtro tra la macchina e il consumatore. L’informatico sa cosa c’è dietro e conosce il linguaggio della macchina, il fruitore dei social o dei computer non ne sa assolutamente nulla, usa le macchine come i selvaggi usavano gli orologi appendendoseli al collo».
Valerio: «Possiamo però difenderci dalla percezione della tecnologia come magia. Studiare aiuta a fare distinzioni nelle cose invisibili, a non confondere l’intervento divino o magico con l’avanzamento tecnologico. Studiare scienze, piú specificamente, consente di percepire la tecnologia come la risultante di un avanzamento delle nostre conoscenze che sono passibili di evoluzione e di miglioramento».
Quali sono le vostre previsioni per il futuro, l’intelligenza artificiale ci distruggerà?
Valerio: «È un’occasione straordinaria. Sono troppo curiosa per essere preoccupata. L’unico limite di Chat Gpt è l’essere logorroico. È sovrabbondante rispetto alla domanda e per questo non porta veramente un’informazione. Vorrei poi aggiungere che in una società completamente automatizzata il problema che ci si porrebbe non sarebbe quello del libero arbitrio bensì il fatto che la memoria venga consegnata alle macchine. Possiamo vedere ridursi la nostra capacità di risolvere problemi e dunque la nostra massa cerebrale. Siamo le prime generazioni ad obsolescenza programmata per non dire ad Alzheimer programmato».
Odifreddi: «Ho letto due riflessioni di Bill Gates e di Elon Mask i quali ci mettono entrambi in guardia dal pericolo che l’umanità possa essere distrutta non tanto dall’atomica o dal disastro climatico quanto dall’intelligenza artificiale. Intanto il rapido sviluppo tecnologico favorisce processi analoghi a quelli che si sono verificati nell’epoca della ottocentesca rivoluzione industriale quando il lavoro umano, quello più usurante, faticoso e stressante, fu sostituito dalle macchine. Oggi però potrebbe essere sostituita l’attività del pensiero umano. Golem XIV di Stanisław Lem è un romanzo di fantascienza con un retroterra di speculazione filosofica in cui una superintelligenza ha raggiunto un tale livello di elaborazione che decide di non comunicare più con gli umani. Le macchine nascono come mezzi e poi diventano fini. L’idolatria delle macchine è un drammatico rischio che corriamo».
La vostra visione del rapporto tra tecnologia e religione è influenzata dalla differenza generazionale?
Valerio: «Da quando mio nipote è nato ho capito che la sua idea di futuro è radicalmente diversa dalla mia. Tra noi ci sono oltre quarant’anni di differenza. Nel 2050 avrà dei problemi per noi oggi inconcepibili».
Odifreddi: «È il presente, cara Chiara, non solo il futuro che ci rende diversi. Sono sempre stato refrattario alla tecnologia. Quando sono nato non c’era la televisione, non uso i social, mi sono abituato a malapena a comunicare tramite sms. Io percepisco l’abuso della tecnologia come deleterio. Pensiamo al fenomeno degli hikikomori. Sono ragazzi che decidono di isolarsi sviluppando una dipendenza da internet. Per loro la tecnologia somiglia alla religione, si ritirano in solitudine, come nei conventi, per sfuggire al mondo. Oggi una pericolosa, invadente presenza tecnologica può condizionare il presente dei più giovani».
LA STAMPA
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