La premier cede alla spartizione

Resta da spiegare perché Meloni, giunta al momento fatidico nel quale poteva portare a casa tutta o quasi la torta a cui tanti suoi predecessori non hanno saputo rinunciare, abbia invece preferito un comportamento diverso e, agli occhi dei suoi sodali, inspiegabile: confermando manager giudicati solo sulla base dei risultati,

come De Scalzi, o aggiungendone di nuovi, come Cingolani, non provenienti dall’area del suo partito o da quella dei suoi famigli. Per farlo, non è un mistero, ha dovuto dire dei “no” pesanti anche ad amici rilevanti di Fratelli d’Italia (Crosetto, uno dei fondatori di FdI, su Cingolani non era d’accordo; La Russa spingeva per un maggior appeacement con gli alleati), che consideravano questa l’occasione per impadronirsi di gangli decisivi del potere. Ha dovuto anche ammettere, implicitamente, di non avere candidati “suoi” dello stesso prestigio e capacità di quelli che ha poi scelto o confermato. Ha voluto parlare, insieme, alle istituzioni, all’Europa e ai mercati, dimostrando di essere consapevole che nei momenti più importanti governare è fare quel che si deve, e non ciò che si vuole.

LA STAMPA

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