Nomine, secondo round: Salvini ferma Donnarumma a Rfi. La Lega: Meloni, luna di miele finita

Ilario Lombardo, Francesco Olivo

ROMA. Che fare ora di Stefano Donnarumma, il manager che sembrava destinato a Enel per volontà di Giorgia Meloni e che invece è rimasto alla porta per la tenace contrarietà di Matteo Salvini? Attorno al suo nome si potrebbe consumare il secondo tempo della grande battaglia delle nomine di Stato. Perché i meloniani si sentono feriti dall’esultanza dei leghisti, contenti di avere strappato un’intera partecipata di prima fascia alle mire della premier: a Enel andrà Flavio Cattaneo come amministratore delegato, sponsorizzato un po’ da tutti tranne che da Meloni, e Paolo Scaroni come presidente, sostenuto da Silvio Berlusconi e tramite Gianni Letta anche dal Carroccio.

È finita così, e da ieri Donnarumma non è neanche più ad di Terna, visto che è stato formalizzato che a succedergli sarà una donna, come aveva promesso la premier: Giuseppina Di Foggia, oggi presidente di Nokia Italia, la prima a guidare una delle top five partecipate di Stato. Presidente sarà Igor De Biasio, consigliere d’amministrazione Rai in quota Lega. Restano da definire gli assetti dalle Ferrovie alla Rai, fino alle società più piccole, di secondo o terzo livello, come Manifattura Tabacchi.

Le nomine segnano l’inizio della lunga campagna elettorale che porterà alle Europee e che metterà gli uni contro gli altri armati Fratelli d’Italia e Lega, competitor nella stessa ampia area di consenso a destra. Ogni punto può servire alla causa. Salvini lo sa bene, perché giocò così, di contrapposizione, contro l’allora leader del M5S Luigi Di Maio, suo socio al governo, quando tra il 2018 e il 2019 la Lega schizzò al 34% ai danni dei grillini, allora a trazione sovranista e anti-Ue. Oggi Salvini è di nuovo vicepremier come quattro anni fa. Questa volta però alla sfida proporzionale per Bruxelles se la vedrà con un’avversaria più dura. Che proverà a lasciargli pochi margini. A partire dalla seconda tranche di nomine.

E si torna a Donnarumma. In pochi credono che alla fine andrà davvero a Rfi, come fatto filtrare da uomini di fiducia della premier.

Un’ipotesi che Salvini non ha preso molto bene. Raccontano che furioso abbia fatto arrivare al sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, braccio destro di Meloni, un messaggio di disappunto. Di certo, agli amici leghisti ha detto: «Ho fatto tanto per non avere Donnarumma a Enel e secondo voi me lo ritrovo a Rfi? Non esiste». Il leghista considera la società delle rete ferroviaria, controllata del Gruppo Fs, un proprio dominio. Vale 24 miliardi del Pnrr ma soprattutto sarà attrice protagonista assieme ad Anas della realizzazione del Ponte di Messina, l’opera su cui Salvini ha scommesso la propria sopravvivenza politica in vista delle Europee.

C’è un altro dato da tenere in considerazione, sul fronte più puramente aziendale. Donnarumma fu colui che scalzò l’attuale ad di Fs Luigi Ferraris da Terna. Se il manager rimasto senza poltrona andasse a Rfi, si troverebbe sotto il suo predecessore alla società della rete. Non solo, secondo fonti ufficiali del Gruppo Fs la notizia sulla sua nomina a Rfi risulterebbe «priva di ogni fondamento». Più probabile, sostengono altre fonti aziendali informate, che vada a Cdp Venture Capital, in attesa di capire se potrà mettere a frutto le competenze acquisite in Terna nella futura rete unica.

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