L’invisibile fragilità dei 18 anni
Annalisa Cuzzocrea
È inutile guardare dentro quel telefonino. Inutile spiare un video, chiedere agli amici, aspettare l’autopsia, perché mai nessuno capirà fino in fondo cosa sia successo. Non possiamo sapere nulla di Julia Ituma e dei suoi pensieri di 18enne forte, audace, splendente, quindi è di noi che dobbiamo parlare. Di questo spaesamento che ci prende là dove immaginiamo possa esistere solo bellezza e troviamo dolore. Di questa incapacità di accettare che si possa morire cadendo da una finestra a 18 anni e spezzare così un filo che fino a un minuto prima ci appariva fortissimo. Un filo che doveva condurre a vittorie, sconfitte, balli, baci, carezze, film, canzoni, schiacciate, abbracci, vita, futuro, e che invece all’improvviso non conduce più a nulla.
Può succedere tutto a 18 anni. Può succedere tutto sempre, è vero, ma a 18 anni di più, perché è quando la vita batte più forte. Quando schiacci più forte, corri più forte, senti tutto – emozioni, paure, ansia, aspettative, speranza – più di quanto pensassi di poter sentire. La gioia e la rabbia, l’entusiasmo e il vuoto. È vita che preme fino a scoppiare e noi non siamo fatti per accettare che diventi il suo opposto. Se accade stiamo lì ipnotizzati a cercare tracce, chiederci perché, cosa avremmo dovuto vedere o capire prima, cosa non abbiamo fatto per. È così per ogni morte improvvisa, ma forse di più quando a morire è una ragazza che fino a pochissimo tempo fa era una bambina e quindi affidata a noi: alla nostra capacità di guardare e di capire, di sorvegliare e di proteggere.
È solo di noi che possiamo parlare e di noi sappiamo questo: che spesso, a un certo punto, i ragazzi che vorremmo proteggere tirano su un muro e noi non riusciamo più a guardarci dentro. Non pensiamo come loro, non reagiamo come loro, non sentiamo come loro e quel che ci resta sono solo la paura e la speranza che alla fine vada tutto bene perché questo promettono le loro braccia forti, le gambe sicure, il sorriso aperto. Si è parlato molto durante quest’anno della fragilità inaspettata delle giovani atlete. Si è parlato molto, dopo il Covid, di una generazione che ha sempre più bisogno di aiuto e adesso lo chiede, perfino. Come stanno facendo gli universitari scoperchiando il tabù dell’ansia e della paura dell’insuccesso che ha portato a troppi suicidi solo negli ultimi mesi. Come fanno i ragazzi che si presentano nelle neuropsichiatrie al collasso con tagli alle braccia, alle gambe, il corpo ferito dalla fame o dal desiderio di sentire dolore.
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