Quei cristi invisibili che vogliamo respingere

È una strada lastricata di bugie e di fobie. Nessuno si sogna più di disconoscere l’esistenza del problema migratorio e l’urgenza di gestirlo. Ma la condizione minima per riuscirci è che lo si affronti come fenomeno epocale, inarrestabile per la sua portata storica. E non come allarme sociale, risolvibile solo con un paradigma securitario. E invece questo è il pensiero unico dei «conservatori tendenza Visegraad», che evocano i fantasmi dell’esodo biblico negando insieme l’etica e l’aritmetica. Dall’inizio del 2023, in Italia, gli arrivi sono oltre quota 32 mila: il quadruplo rispetto a un anno fa. Ma mente chi grida che il nostro Paese è stato lasciato solo. Gli stranieri regolari sono 10,4 milioni in Germania e solo 5,2 in Italia, esattamente come in Francia. Gli stranieri irregolari stimati sono 118 mila in Germania, 104 mila in Francia, solo 23 mila in Italia. I richiedenti asilo sono oltre 217 mila in Germania, 137 mila in Francia e solo 77 mila in Italia. È «un’invasione», questa? Sono numeri da «sostituzione etnica»? Siamo seri, e siamo onesti. Come lo è il cardinal Zuppi, presidente della Cei: in questo momento c’è una situazione oggettivamente critica a Lampedusa, dove stazionano 1.263 profughi in una struttura che dovrebbe accoglierne meno di 400. Il resto è cinica propaganda, per qualche punto in più nei sondaggi e per la campagna elettorale delle Europee 2024.

C’è da chiedersi quale metodo ci sia, in questa dissennata e disumana xenofobia. C’è da domandarsi se davvero sia sufficiente la solita spiegazione, fin troppo banale, dell’arma della distrazione di massa, della strategia della tensione, del marketing psico-politico: non c’è un euro in cassa per ridurre le tasse e aumentare le pensioni, i fondi del Pnrr rischiano di saltare per inefficienza della macchina amministrativa, e così gli impresari della paura costruiscono il nemico su cui scaricare dolori e rancori. Lo straniero, per il patriota frustrato e il ceto medio impoverito, è da sempre un capro espiatorio perfetto. Così come in prospettiva lo diventerà l’Unione europea, se l’onda migratoria salirà fino a sommergere un “Fronte nazionale” che ha stravinto le elezioni promettendo di arginarla. Ma a questa maggioranza, probabilmente candidata a durare un’intera legislatura, conviene avvelenare i pozzi in questo modo, inoculando tossine dannose al circuito istituzionale ed espellendo risorse utili al sistema economico?

Sul piano istituzionale, se Meloni e Salvini continuano a inseguirsi nella feroce battaglia contro la protezione speciale, rischiano di finire schiantati sulle mura del Quirinale. Sergio Mattarella, negli ultimi cinque anni, è già intervenuto due volte sul tema. L’8 agosto 2019, nel promulgare il secondo Decreto Sicurezza con le maxi-multe alle navi delle Ong che violano le acque territoriali, aveva segnalato al governo gialloverde le sue «rilevanti perplessità» su tutti i divieti che non rispettano «gli obblighi internazionali dell’Italia» (a partire dalla Convenzione di Montego Bay che prevede«“si presti soccorso a chiunque si sia trovato in mare in condizioni di pericolo»). Pochi mesi prima il Colle aveva fissato un paletto ancora più cogente: il 4 ottobre 2018, al varo del primo Decreto Sicurezza, il Capo dello Stato aveva inviato una lettera a Giuseppe Conte, richiamando la necessità che l’esecutivo rispettasse sempre e comunque «gli obblighi internazionali e costituzionali dello Stato», e in particolare «quanto direttamente disposto dall’articolo 10 della Costituzione». Quello che riconosce la conformità dell’ordinamento italiano «alle norme del diritto internazionale». Che affida alla legge il compito di regolare «la condizione giuridica dello straniero» nel rispetto «delle norme e dei trattati internazionali». Che garantisce il «diritto d’asilo nel territorio della Repubblica» allo straniero cui nel suo Paese sia impedito «l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana». L’emendamento del governo, soppressivo della protezione speciale, valica abbondantemente il perimetro della legittimità costituzionale. Vale la pena aprire un conflitto con Mattarella, per portare a casa un pugno di voti?

Sul piano economico, se Meloni e Salvini non si fermano, rischiano di finire schiacciati sotto il macigno del debito pubblico. Non c’è bisogno che diano retta a un premio Nobel come Paul Krugman, che ci spiega le mille ragioni che devono spingere l’Occidente a guardare ai migranti come a una formidabile occasione di crescita, invece che come una minaccia di dumping socio-salariale. Basta che leggano quello che loro stessi hanno scritto a pagina 125 del Documento di economia e finanza appena approvato in Consiglio dei ministri. Lì si dice nero su bianco che, se il flusso migratorio aumenta di un terzo, il debito italiano in rapporto al Pil scende sotto il 125 per cento, mentre se scende di un terzo quella montagna raggiunge il 200 per cento. Gli occupati stranieri, attraverso i canali legali e i flussi di ingresso programmati, sono l’unica speranza che abbiamo per garantire che il Paese non vada in default, che ci siano lavoro e contributi sufficienti ad assicurare il welfare, le pensioni e la sanità. Lo dice il Def del ministro del Tesoro Giorgetti, con buona pace dei suoi «colleghi» che vomitano odio dai pulpiti digitali e seminano intolleranza dai talk televisivi.

Contro i migranti è stato appena introdotto lo «stato di emergenza». Fratellisti e leghisti l’hanno decretato felicemente (nonostante lo deprecassero in Era Covidica, quando in preda ai fumi No Vax farneticavano su lisergiche e fantomatiche “Dittature Sanitarie”). Persino il ministro Piantedosi, provvisoriamente dismessi i panni del questurino, ha avuto il coraggio di riconoscere che si tratta solo di «una misura tecnica» (qualunque cosa voglia dire). In attesa di capire quali sono le vere intenzioni della Sorella d’Italia, tra facce feroci e facce di bronzo, lo «sgoverno» del disordine migratorio è purtroppo inquietante. Intendiamoci: i governi precedenti non hanno fatto di meglio. Ma qui c’è un sovraccarico di empietà verso le persone deboli, e di irresponsabilità verso le generazioni future, che non può non preoccupare. Più che in un drammatico «stato di emergenza», annaspiamo in un grave «stato confusionale». “Dio, Patria, Famiglia”, “Stato Nazione”, Sangue e Suolo” sono le vecchie, nuove parole dell’esclusione. Le scagliano come pietre. Come dice Papa Francesco: contro «i cristi invisibili respinti in guanti bianchi».

LA STAMPA

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