Sanità: i soldi al Servizio nazionale e la verità che il governo nasconde

I bilanci delle Regioni

La Sanità pesa all’incirca per l’80% sui bilanci delle Regioni, e gli ultimi due anni si fanno tutti sentire. Lo dimostra il confronto tra il 2022 e il 2019: le Regioni che avevano conti in ordine ora sono indebitate. L’Emilia-Romagna è in rosso di 84,9 milioni; il Piemonte di 21; il Lazio di 125,5; la Basilicata di 20,9 milioni; l’Umbria di 69,5 milioni, la Sardegna di 41,7. Mentre Regioni già in negativo come Toscana, Abruzzo e Puglia hanno peggiorato la loro situazione finanziaria. Bilancio in pareggio ma risicatissimo per la Lombardia che chiude con 296 mila euro contro i 6,3 milioni del 2019, e il Veneto a 7 milioni contro i 29,4 del 2029. Ora alle 20 Regioni arriverà 1 miliardo e 85 milioni per il cosiddetto payback: chi negli anni passati ha acquistato dispositivi medici in più rispetto al tetto di spesa fissato recupererà il 50%. In sostanza si distribuiscono un po’ di soldi a tutte le Regioni che hanno sforato su un altro capitolo di spesa, sperando che tappi il buco aperto dai costi Covid e dalle bollette. Difficile.

Sottofinanziamento del Ssn

Del resto, il finanziamento al servizio sanitario cresce solo sulla carta: 123,4 miliardi nel 2021; 125,98 nel 2022; 136 nel 2023; 132,7 nel 2024 e 135 miliardi nel 2025. Ma siccome i soldi si pesano rispetto al Pil, siamo passati dal 6,4% del 2019 al 6,9% del 2021, e poi la curva si inverte: 6,6% nel 2022, 6,7% nel 2023, al 6,3% nel 2024 e 6,2% nel 2025. In pratica stiamo tornando addirittura indietro rispetto al pre-pandemia. Per arrivare ai livelli di Germania e Francia servirebbero all’incirca 40 miliardi in più all’anno, e 20 per raggiungere almeno il Regno Unito.

Rischio n. 1

Quando le risorse sono poche si è costretti a risparmiare, proprio nel momento in cui è necessario investire nelle sfide che ci attendono. A partire dalle liste d’attesa. Resta da recuperare qualche milione di prestazioni sanitarie perse per il blocco/rallentamento dell’attività sanitaria durante i mesi clou della pandemia. Oltre agli esami e alle visite specialistiche (vedi il Dataroom del 6 febbraio 2023), i dati diffusi da ministero della Salute e Agenas confermano il permanere di criticità anche sui ricoveri: nel caso degli interventi cardiovascolari che devono avere la precedenza per motivi di urgenza (classe A) e che dovrebbero essere eseguiti entro 30 giorni, ben 14 Regioni presentano risultati peggiori di quelli del 2019. Lo stesso vale per i tumori maligni: sono 12 le Regioni che hanno peggiorato le loro performance. Significa che si riduce la percentuale di interventi eseguiti nei tempi definiti per legge.

Rischio n. 2

È stata avviata la riforma dell’assistenza sul territorio disegnata dal Dm 77 del maggio 2022 e prevista dal Pnrr, che prevede la creazione di almeno 1.350 case della comunità, 400 ospedali di comunità, 600 centrali operative territoriali e lo sviluppo della telemedicina in grado di assistere a domicilio almeno 800 mila persone con più di 65 anni. I 7 miliardi per la costruzione degli edifici arrivano dal Pnrr. Ma la riforma necessita di un’adeguata dotazione di personale. Il fabbisogno totale al 2027 di medici è stimato in 42.331 ospedalieri. In un Dataroom dell’ottobre 2022 abbiamo visto che gli specialisti che saranno sfornati per allora dalle Scuole di specialità saranno complessivamente 62.350. Tenuto conto che il 10% non finisce gli studi e il 25% non resta a lavorare nel ssn, vuole dire che per gli ospedali pubblici saranno pronti, sempre al 2027, 42.086 specialisti. Le entrate e le uscite sono quindi in equilibrio. Ma ancora una volta i conti tornano solo sulla carta, perché nella realtà una volta banditi i posti nelle Scuole, le specialità di cui c’è più bisogno, non vengono scelte. In Medicina d’emergenza e urgenza il 57% dei posti non è coperto; in Anestesia e rianimazione il 17%; in Radioterapia il 74%. Uno dei problemi che rimangono sul tavolo è legato agli stipendi: un medico tedesco rispetto a uno italiano guadagna il 93,6% in più.

I primi 9 mesi del 2022 registrano una riduzione della spesa per investimenti di oltre il 13%. Che vuol dire meno soldi per l’acquisto di attrezzature nuove e per la manutenzione dei reparti

Rischio n. 3

I primi 9 mesi del 2022 registrano una riduzione della spesa per investimenti di oltre il 13%. Che vuol dire meno soldi per l’acquisto di attrezzature nuove e per la manutenzione dei reparti «al fine di garantire a ciascun cittadino una risposta adeguata alla domanda di salute, sia in termini di prevenzione che di cura delle diverse patologie». Lo fa presente la Corte dei conti che scrive: «Il programma straordinario degli investimenti pubblici in sanità costituisce un contributo sostanziale al perseguimento della finalità pubblica della tutela della salute (ai sensi dell’art. 32 Cost.) in quanto l’ammodernamento del patrimonio strutturale e tecnologico del servizio sanitario nazionale consente meglio di rispondere con strutture e tecnologie sempre più appropriate, moderne e sicure, alle necessità di salute della comunità e alle aspettative di operatori e utenti del Servizio sanitario nazionale». In conclusione: snocciolare qualche miliardo in più fa sempre una certa impressione, ma rispetto alle necessità sono solo noccioline.

dataroom@corriere.it

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