Il valore dell’acqua: pericolose (e costose) trappole
Il Figliuolo dell’acqua non c’è
ancora ma come commissario all’emergenza siccità dovrà lavorare più
duramente — e molto più a lungo — del generale degli alpini protagonista
della campagna vaccinale.
Il decreto legge, varato il 6 aprile dal
Consiglio dei ministri, ha un solo, non secondario, problema: quello
delle coperture finanziarie. Le risorse indispensabili per adeguare le
infrastrutture e potenziare il servizio idrico nazionale vanno trovate
rimodulando i piani di spesa di altri investimenti già messi a bilancio.
Non semplice. Il provvedimento è comunque entrato in vigore il 15
aprile. Istituisce una cabina di regia, presieduta dalla presidente del
Consiglio, che potrà avvalersi di cinque esperti (pagati fino a un
massimo di 50 mila euro lordi l’anno). Il
nuovo commissario, che verrà nominato probabilmente alla fine della
settimana, dovrà completare entro un mese un’attenta ricognizione delle
opere più urgenti. Eserciterà poteri sostitutivi nei confronti di
amministrazioni locali e non solo. Semplificherà le procedure. Un
compito titanico. In Italia vi sono 30 mila enti, 10 mila uffici. Un
intreccio diabolico di competenze locali e nazionali. E, come segnala il
rapporto Water Economy in Italy,
non esiste una mappatura di tutti gli usi. Il servizio idrico
integrato, ovvero acquedotti, fognature e depurazione, su cui esercita
la propria sorveglianza l’Arera l’autorità di settore, riguarda solo il
20 per cento del totale dei prelievi.
L’urgenza è assoluta perché la mancanza di acqua è drammatica; i segni della desertificazione di intere aree dolorosamente visibili; le condizioni di alcune filiere agricole potenzialmente disastrose. Eppure nel dibattito pubblico – e ciò interroga la nostra coscienza civica – prevale un colpevole e inspiegabile fatalismo che rasenta l’irresponsabilità collettiva e individuale. Basta che piova un po’ e subito l’emergenza scompare. Il dissesto idrogeologico purtroppo no, peggiora. Secondo l’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) viviamo in una delle aree, nelle quali le anomalie climatiche saranno, nei prossimi anni, superiori alla media mondiale.
Siamo il Paese con il consumo pro capite (215 litri a testa al giorno) più alto della media europea (125). La perdita dei nostri acquedotti, seppur lievemente migliorata, è del 42 per cento. L’acqua piovana — ne abbiamo il 20 per cento in meno rispetto al secolo scorso — la raccogliamo e la sfruttiamo solo al 10 per cento. Gli invasi sono pochissimi. La loro realizzazione non piace alle comunità. Disturbano come le pale eoliche e gli impianti fotovoltaici. L’articolo 6 del decreto prevede che le vasche di raccolta dell’acqua piovana a uso agricolo, fino a un volume massimo di 50 metri cubi, possano essere eseguite liberamente. L’irrigazione in agricoltura è quasi tutta a scorrimento e per canali in terra. Inefficiente a dir poco. Non si potrà andare avanti a lungo così, pena la sopravvivenza di tante colture e il destino commerciale di molti prodotti tipici. Solo il 5 per cento delle acque reflue depurate è impiegato a fini agricoli o industriali. L’articolo 7 ne favorisce l’uso. È sufficiente un’unica autorizzazione che certifichi la sostenibilità sanitaria e ambientale. L’acqua desalinizzata è riutilizzata solo per lo 0,1 per cento contro il 7 per cento della Spagna. L’articolo 10 prevede minori ostacoli agli impianti di desalinizzazione, assai difficili da realizzare in base alla cosiddetta legge «Salvamare».
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