Il valore dell’acqua: pericolose (e costose) trappole

Sotto sotto, siamo ancora convinti che l’acqua sia talmente abbondante da essere considerata sostanzialmente senza valore. Si può prendere a piacere. Anche rubarla. Basti solo pensare che il provvedimento appena varato dal governo Meloni si propone di contrastare (articolo 12) l’estrazione illecita di acqua, intervenendo sul regime sanzionatorio che risale a un regio decreto del 1933! Come segnala un articolo sul Sole 24 Ore, di Manuela Perrone, con 61 tariffe diverse l’Italia è il Paese che ricava il minor gettito d’Europa. Abbiamo scelto, con un referendum nel 2011, che l’acqua resti pubblica, ma là dove la gestione è in economia, cioè affidata ai Comuni, l’investimento medio nel 2021 è stato di 8 euro ad abitante. Dove operano gruppi industriali, a capitale pubblico o privato, è risultato, invece, di 56 euro ad abitante. La media europea è di 82 euro.

C’è poca concorrenza, troppa politica. Ed è una delle ragioni che hanno spinto la multinazionale francese Veolia a trattare la vendita a Italgas delle società idriche di Campania, Lazio e Sicilia. Gli effetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che destina oltre 4 miliardi, non sono ancora visibili ma con un investimento medio per abitante così basso si favoriscono la desertificazione, la risalita devastante del cuneo salino nei fiumi. La partita del commissario è persa in partenza. Si è di fatto complici del riscaldamento climatico. Ma non è solo una questione ecologica, di sensibilità ambientale. È anche una grande sfida tecnologica e agroindustriale nella quale le nostre aziende, pubbliche o private, possono giocare, ancora di più in un contesto concorrenziale, un prezioso ruolo innovativo. Certo non i piccoli Comuni. Da soli. Occorre uscire al più presto da una costosa trappola ideologica. Ovvero l’idea romantica che l’acqua pubblica sia di per sé abbondante e a buon mercato. E che la gestione di quello che altrove è «oro blu», si possa lasciare semplicemente al caso. O alla Divina provvidenza.

CORRIERE.IT

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