Sergio Mattarella: «Per un Rinascimento europeo partiamo dalla cultura»
Come definirebbe, in concreto, l’identità europea? Su quali cardini poggia? E quale peso vi ha la cultura italiana?
«Dalle grandi città ai piccoli borghi, in ogni latitudine del nostro
continente le comunità sono riconoscibili dalle loro piazze, i loro
edifici di culto, i loro municipi, i loro palazzi e i loro mercati, i
loro paesaggi. Con la loro cultura materiale sedimentata nei secoli.
Ognuno di questi segni indica, identifica l’Europa. La dimensione
europea è ciò che condividiamo quale frutto del deposito lasciato da
culture plurali, recate dai popoli che si sono succeduti
nell’insediamento sui territori, in continua sequenza tra loro. Si pensi
alle migrazioni degli artisti e degli architetti, dei clerici vagantes.
Guardiamo al Rinascimento. Nell’immaginario collettivo, che corrisponde
alla realtà, il Rinascimento è il prodotto dell’ingegno italiano in uno
stato di grazia particolare. L’innesco dell’esperienza è partito,
certo, nel ’400 e ’500 dalle città italiane per diffondersi però, poi,
nelle corti europee. Tuttavia il Rinascimento belga, per esempio, ha una
sua specificità che ha regalato al mondo le meraviglie dell’arte
fiamminga; così come il Rinascimento inglese, che vede giganti della
letteratura come Edmund Spenser, Philip Sydney e lo stesso John Milton,
per non parlare del più grande di tutti, Shakespeare. Né si può
trascurare di apprezzare la lungimiranza dei regnanti francesi che
ospitarono sommi artisti italiani, come Leonardo, Rosso Fiorentino,
Benvenuto Cellini, per consentire ai propri artisti di confrontarsi con
il Rinascimento italiano, con la fondazione di scuole come quella di
Fontainebleau. Come ignorare il contributo degli enciclopedisti? Come
non condividere in un patrimonio comune il pensiero di Kant o la musica
di Beethoven e di Brahms; o l’armonia di Mozart o di Donizetti? È dalle
reciproche influenze che prende corpo una dimensione di cultura
artistica e architettonica europea, riflesso di una matrice umanista
emersa nei secoli. Il sentimento di appartenenza era, dunque, a una
grande cultura, che non separava est e ovest europeo ma permeava ogni
ambiente intellettuale.
Spes contra spem, mi piacerebbe pensare a un nuovo rinascimento europeo, aperto al mondo intero».
C’è chi sostiene che il futuro passi attraverso la costruzione di una «fraternità europea». È questo lo sforzo da fare?
«La fraternità europea, se derivato
della triade illuminista — insieme con uguaglianza e libertà —, va
intesa come consapevolezza di comune destino e va oltre la solidarietà.
Se i valori espressi dalle singole comunità erettesi in Stato sono
comuni, è naturale e soprattutto autentico parlare di “fraternità
europea”. I padri costituenti della nostra Repubblica si misurarono con
questo pensiero e, in una prima stesura dell’articolo 3 della nostra
Costituzione, scrissero un inciso di rara bellezza espressiva: le norme,
secondo questa primigenia versione del testo risultavano poste “al fine
di assicurare l’autonomia e la dignità della persona umana e di
promuovere a un tempo la necessaria solidarietà sociale, economica e
spirituale, in cui le persone debbono completarsi a vicenda”. Trovo che
quell’espressione “completarsi a vicenda” tra persone, tra esseri umani,
tra cittadini europei, rappresenti quanto di più significativo si possa
immaginare per l’Europa “unione delle diversità”, ispirata da una
visione che sappia guardare lontano, senza il rischio della lusinga
dell’inciampo in
limes
, in barriere artificiosamente create».
Il tema dell’identità
dell’Europa si incrocia con le crisi in atto, che determinano anche
ondate inattese di immigrazione. Dall’essere spontaneamente cosmopoliti
si passa alla paura verso la diversità, vista come una minaccia
piuttosto che come opportunità e prova di civiltà.
«In questo senso potremmo parlare di
“fraternità europea” come acquisizione di consapevolezze più autentiche,
che abbiano la meglio anche su narrazioni correnti di crisi di
convivenza con gli immigrati che giungono sulle nostre coste o agli
altri confini d’Europa, fuggendo da guerre, carestie, sconvolgimenti
climatici. Buoni esempi di “fraternità europea” non mancano: le porte
aperte ai profughi ucraini e la generosità ad essi mostrata da Paesi
come la Polonia parlano da soli. Tuttavia i principi sono tali se non
ammettono declinazioni di comodo. La fraternità sarebbe più forte se
fosse sempre ugualmente riservata a chi fugge da altre guerre, da altra
fame, da altre catastrofi, lungo la linea del Mediterraneo, per esempio.
Al centro deve essere la persona e i suoi diritti, senza distinzione,
come recita l’articolo 3 della Costituzione “di sesso, di razza, di
lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali”. L’Europa è anche il mare che l’Italia abita, fendendolo nel
mezzo fino a sfiorare le coste africane. Ce lo ricorda, con lo
straordinario Fernand Braudel, Predrag Matvejevic: “Sul Mediterraneo è
stata concepita l’intera Europa”. Il Mediterraneo è il nostro banco di
prova come capacità di affermazione dei valori europei e come capacità
di dispiegare politiche di cooperazione per fronteggiare, governandoli,
fenomeni complessi».
La letteratura,
come tutte le arti, rappresenta lo spirito del tempo ed è
l’autobiografia di un popolo. Lei ha più volte osservato che la
Costituzione resta la «cassetta degli attrezzi» cui dovremmo ispirarci,
ma quali altri testi, quali figure possono essere considerate
fondamentali per rafforzare il senso di cittadinanza europea?
«L’autobiografia culturale di un Paese
è la sua cultura per intero, quella alta e quella popolare, per
ricordare il pensiero di un grande italiano transnazionale, Umberto Eco,
in grado di parlare a tutte le espressioni culturali. Per l’Italia
cito, ancora una volta, innanzitutto la sua Costituzione, che esprime le
ragioni dell’identità di un popolo, e nasce scritta in un italiano
perfetto.
Ciascun Paese può mettere in campi propri campioni che hanno contribuito al formarsi di un
demos
europeo e qualsiasi elenco apparirebbe riduttivo.
La nostra autobiografia trova in Dante
Alighieri l’uomo che ha portato a compimento il passaggio tra latino e
volgare, riconoscendo alla lingua parlata, quella che oggi definiamo
lingua italiana — e fu una rivoluzione — la dignità letteraria e la
superiorità comunicativa. Potremmo dire la prevalenza dell’idioma dei
più rispetto alla lingua ufficiale, senza tuttavia concessione alcuna
alla ignoranza, alla sciatteria ma con il riscatto del parlare comune e
delle forme del suo pensiero.
Era forte in Dante il richiamo alla conoscenza. Lo ritroviamo nella sua opera massima, nell’
Inferno
, canto XXVI. “Considerate la vostra
semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e
canoscenza”, ammonisce. Mentre, in versi meno noti, nel XXII canto del
Purgatorio
, lancia un messaggio forse utile
anche nella babele comunicativa del nostro tempo: “Veramente più volte
appaion cose che danno a dubitar falsa matera per le vere ragion che son
nascose”. Lo vorrei consegnare ai più giovani, ai quali le istituzione
europee riservano da oltre trent’anni il progetto Erasmus, che richiama
il celebre umanista olandese Erasmo da Rotterdam.
Per restare all’Italia pensiamo a san
Benedetto da Norcia, immenso costruttore di una visione europea.
Federico II di Svevia, un Hohenstaufen, seppe concepire l’idea d’Europa.
Un’Europa inclusiva e tollerante, un’Europa incontro fra culture fuse
in una visione nuova che superava quelle originarie. Un uomo espressione
del Nord Europa nato a Jesi, nel centro dell’Italia medievale e che si
consacrò al Sud e fu re di Sicilia. Ci sono straordinari personalità e
giacimenti culturali dai quali attingere per dirci europei del XXI
secolo».
La guerra
scatenata da Mosca in Ucraina ha provocato, tra l’altro, la tentazione
di «cancellare» opere russe dalle programmazioni di mostre, concerti,
dibattiti. Eppure la letteratura e l’arte russa sono nell’alveo della
cultura europea. È giusto abolire dalla nostra memoria quella lunga
storia?
«C’è un celeberrimo aforisma di Terenzio, tratto dalla commedia latina
Il punitore di se stesso
che dice: “Homo sum, humani nihil a me
alienum puto” (tutto ciò che è umano a me non è estraneo).
L’atteggiamento di fronte alle culture prodotte dall’uomo, dai più
diversi intellettuali e artisti, non può che essere l’apertura, la
curiosità, la conoscenza, il confronto. Il progresso nasce da questo.
Non dal rifiuto, non dalla cancellazione. Il contesto culturale è il
prodotto di una continua trasformazione, contraddittoria, dialettica,
con andamento non lineare.
La
cancel culture
nei confronti della letteratura e
dell’arte russe appare come un gesto sbagliato che vorrebbe
colpevolizzare a ritroso i prodotti di secoli di storia europea, di cui
quella cultura fa parte a pieno titolo. Gli intellettuali più avvertiti
non hanno mancato di stigmatizzare questa visione. La cultura è tale se
rifiuta le catalogazioni di comodo e aspira ad offrirsi come visione a
confronto con il mondo. E ogni visione coesiste con le altre, si fonde,
evolve. A uccidere la cultura è l’omologazione, il conformismo, anche
quello cui sottostiamo inconsciamente o colpevolmente per pigrizia
mentale, per opportunismo. Dante, Manzoni, Pirandello, Calvino, Eco,
hanno illustrato, con diseguale ambizione naturalmente, la nostra
cultura e hanno tutti diritto di cittadinanza. È la “multipolarità delle
esperienze culturali” a tessere il tessuto connettivo in cui
ritrovarsi».
La nostra presenza agli eventi
di Parigi e Francoforte ci ricolloca nel cuore della geografia
culturale, oltre che politica, dell’Ue.
«È bello pensare che l’Italia non è
solo il suo passato ma uno scrigno permanentemente arricchito.
L’industria culturale italiana è una forza trainante del nostro modello
produttivo che permette di mettere in valore le creazioni dell’ingegno.
L’esperienza di “Passioni Italiane”, che unisce teatro, cinema,
fotografia, editoria, mi pare significativa. Mi piace pensare che Parigi
e Francoforte significhino anche un riconoscimento all’impegno e
all’attività della nostra industria dell’editoria che, lo dimostra
questa duplice presenza, è affatto provinciale bensì proiettata a pieno
titolo nel dialogo della cultura internazionale.
Il libro è un veicolo straordinario che richiama l’attenzione sul Bel Paese.
L’Italia è il luogo in cui ogni
cittadino del mondo, almeno una volta nella vita, pensa di recarsi per
trovare l’occasione di un’esperienza unica di immersione totale nel
bello. Un’esperienza estetica, ma anche sensoriale, concettuale.
L’Italia gode all’estero di una reputazione altissima, che investe il
suo passato ma, come ho osservato, anche il suo presente. L’Italia
affascina per le sue città d’arte, la sua storia, i suoi musei, ma anche
per il suo design, il suo cinema, la sua musica, il suo cibo, i suoi
scienziati, le sue astronaute, la sua alta moda. La sua gente, insomma. E
affascina per il suo spirito pubblico, il senso della comunità, la sua
vocazione alla pace che si traduce in una straordinaria capacità
diplomatica sul terreno della cultura, della scienza, della economia,
della politica.
Il modello di vita italiano fa sì che,
dopo più di un secolo e mezzo di migrazioni nelle Americhe, in
Australia e nell’Europa del Nord, accanto agli italiani di quarta e
quinta generazione che rivestono ruoli significativi nei Paesi di
approdo, si facciano strada tanti, tantissimi “aspiranti italiani”, che
apprezzano la nostra cultura. “Italici”, appunto, che alimentano quel
“soft power” di cui c’è tanto bisogno in tempi di resipiscenza di
violenze e aggressioni che riportano al secolo scorso.
Di certo l’italianità appare di per sé un valore. E non va dissipato».
Lei ha accolto al
Quirinale opere di pittori, scultori e designer italiani del ’900. È
stato un gesto di sua sensibilità culturale? O un modo di offrire loro
una vetrina, considerando gli ospiti stranieri che di continuo vi
approdano?
«La sede della presidenza della
Repubblica è la Casa degli italiani. L’Italia è il Paese dove bellezza e
cultura hanno trovato massima espressione. Trovo naturale che il
Palazzo del Quirinale si offra come spazio per raccontare l’eccellenza
artistica italiana. L’arte italiana non si è fermata ai primi del
Novecento ma continua a produrre con costante vivacità e valore.
Continueremo, pertanto, a ospitare opere di artisti, privilegiando
l’arte contemporanea in dialogo con la bellezza austera di un luogo
straordinario. All’altezza della magnificenza del patrimonio culturale
del nostro Paese e degli italiani».
Il logo del festival di Parigi L’Italia al Festival du Livre
Dopo 21 anni l’Italia torna Paese ospite d’onore al Festival du Livre di Parigi, con eventi e incontri che prevedono la partecipazione di oltre 50 autori italiani. La presenza dell’Italia è resa possibile dalla collaborazione tra ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, ministero della Cultura con il Cepell Centro per il libro e la lettura, l’Ambasciata d’Italia a Parigi, l’Istituto italiano di cultura di Parigi, Ice-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane e Aie, Associazione italiana editori. Dopo l’inaugurazione di ieri e l’apertura oggi del Padiglione italiano, il Festival proseguirà fino a domenica 23. La Francia è per il nostro Paese il secondo mercato per la cessione dei diritti: 917 titoli venduti nel 2020 (dati Aie).
Il programma: incontri con gli autori e due rassegne
Da venerdì 21 a domenica 23 aprile, il Festival du Livre ospita l’ampio programma di incontri del ciclo Passions Italiennes cui si aggiungono gli eventi diffusi della rassegna di arti Italissimo. Molti i temi dei dibattiti, come il rapporto tra Italia e Francia, la cultura mediterranea, la nuova tradizione del giallo, la storia e la cultura del nostro Paese. Apre il festival venerdì 21 l’incontro Chères cousines et chers cousins, con il diplomatico e scrittore Maurizio Serra, primo italiano Accademico di Francia, in un dialogo con Stefano Montefiori, corrispondente dalla Francia del «Corriere». Al Padiglione italiano, tra gli altri ospiti di venerdì: Giuseppe Conte e Marino Sinibaldi (ore 12), Sacha Naspini e Beatrice Salvioni (ore 14), Giulia Caminito e Francesca Manfredi (ore 15), Maurizio Ferraris (ore 17), e i premi Strega Mario Desiati e Antonio Scurati (ore 18), mentre la Sorbona ospita alle ore 20 l’incontro con Erri De Luca. Sabato 22, i dialoghi tra Donato Carrisi e Maurizio de Giovanni (ore 11), Elisa Ruotolo e Chiara Valerio (ore 12), l’incontro sulla storia d’Italia tra le due guerre con Giovanni Grasso (ore 15) e il dialogo di Emanuele Trevi e Giorgio Vasta (ore 17); tra gli eventi diffusi in città, alla Maison de la Poésie, la serata con Milo Manara (alle ore 21). Domenica 23, tra gli ospiti del festival, Stefania Auci e Pietrangelo Buttafuoco (ore 11), Gianrico Carofiglio e Giancarlo De Cataldo (ore 12), Beatrice Venezi e Marcello Veneziani (ore 17).
Grand Palais Éphémère: l’inaugurazione con il ministro Sangiuliano
Inaugurazione ufficiale, giovedì 20 aprile, per il Festival du Livre di Parigi: al Grand Palais Éphémère, dopo i saluti del direttore generale del Festival du Livre Jean-Baptiste Passé, è intervenuto il ministro italiano della Cultura Gennaro Sangiuliano: «Sono certo che l’intenso programma di incontri previsti dal Festival stimolerà un ancor più attento e benevolo interesse verso l’Italia contemporanea da parte del pubblico, dei media e della intellettualità francesi, consapevoli della comunanza di molte radici dei due Stati». Tra gli altri ospiti, la ministra francese Rima Abdul Malak, e il presidente Aie Ricardo Franco Levi.
Trecento metri quadrati: il taglio del nastro al Padiglione italiano
Il taglio del nastro del Padiglione Italiano al Festival du Livre di Parigi si svolgerà venerdì 21 aprile alle ore 10.45, al Grand Palais Éphémère, con il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano; saranno presenti anche l’ambasciatrice d’Italia a Parigi Emanuela D’Alessandro, il direttore di Ita-Parigi Luigi Ferrelli e il presidente dell’Aie Ricardo Franco Levi. Il padiglione di 300 metri quadrati nella Sala Eiffel, dove prenderanno vita le Passions Italiennes, prevede uno Spazio incontri, un’area professionale, l’area dei libri e, grazie alla collaborazione con Bologna Children’s Book Fair, la mostra Eccellenze italiane dedicata a Calvino.
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