25 aprile: i valori, la memoria e le ostilità di troppo
Il nodo storico inestricabile sta nel fatto che in quel 25 aprile del 1945 finirono contemporaneamente tre guerre: quella patriottica, quasi un secondo Risorgimento; quella di liberazione («e come potevamo noi cantare/ con il piede straniero sopra il cuore»); e quella di classe, che sperava di edificare anche qui una società socialista. La sinistra non le vinse tutt’e tre, e questo non è mai stato accettato da una sua parte influente in quanto irriducibile. Nacque così il mito della «rivoluzione tradita», e venne radicata nel senso comune l’equazione «antifascista=democratico». Che ormai, dopo la fine del comunismo, sappiamo non essere vera: non tutti gli antifascisti erano democratici, anche se tutti i democratici furono antifascisti.
Davvero dunque non può stupire che anche l’ultima grande sconfitta elettorale della sinistra abbia riacceso lo scontro sulla Liberazione. Però stavolta c’è dell’altro. E sta nel fatto che è appena andata al potere una Destra che non mostra di avere alcuna voglia di rinunciare a quello stesso residuo identitario che i suoi nemici le imputano. Quasi come se la sua storica «estraneità» al fronte antifascista internazionale che vinse la guerra, e a quello interno che poi scrisse la Costituzione, le tornasse oggi persino utile a ristabilire una simmetria degli opposti: perché le consente a) di continuare a sentirsi sé stessa, nonostante i compromessi necessari per governare, b) di distrarre l’attenzione dalla difficoltà di governare.
Così è tutto uno svicolare, un cercare altrove e lontano, magari a Praga come nei programmi di La Russa, affiancando la visita anti-nazista al campo di concentramento con quella anti-comunista al monumento per Jan Palach, qualcosa che possa condividere. Oppure — come nella mozione del centrodestra al Senato — tentando di «affogare» il 25 aprile in un lago di date storiche «bipartisan», il 2 giugno della Repubblica e il 17 marzo del Regno d’Italia, il 27 gennaio della Shoah e il 10 gennaio delle foibe, il 18 aprile della vittoria elettorale sul comunismo italiano nel 1948 e il 9 novembre della caduta del Muro di Berlino nel 1989.
Naturalmente nessuno ha diritto di chiedere abiure alla Destra. Certamente non dopo il giudizio degli elettori, che l’hanno giudicata e in maggioranza ritenuta legittimata al governo di un grande paese democratico europeo. E meno che mai può pretenderle in nome del 25 aprile chi ha capito così male la nostra Liberazione da non vedere il parallelo che la guerra per la liberazione dell’Ucraina ci ripropone oggi (su questo consiglio un breve corso di studio sui testi degli interventi di Sergio Mattarella).
Eppure, una sospensione delle ostilità sul passato, se così si vuol dire, gioverebbe innanzitutto alla destra di governo. Oggi è chiamata a nutrirsi di presente, e possibilmente di futuro. Due terzi degli italiani, e perfino più della metà degli elettori di Fratelli d’Italia, dichiarano nei sondaggi di considerarsi antifascisti. Il 25 aprile dividerà forse ancora a lungo chi vuole deliberatamente dividere, ma non più i cittadini.
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