Perché l’Italia ha bisogno di una destra “normale”
D’accordo, c’era da aspettarselo. Come ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera della scorsa settimana, era inevitabile che nell’Italia governata dal partito della Fiamma post-missina cominciasse a spirare un’aria da “passato che non passa”. E tanto più era da mettere in conto che proprio in questo tempo nuovo della politica italiana la Festa del 25 aprile si caricasse più che mai di sentimenti e risentimenti, fino a diventare in ogni senso una “pietra d’inciampo” per molti epigoni di quel passato. È così da decenni, figuriamoci adesso. Ma quello che non doveva succedere è che, a non stemperare o addirittura ad alimentare questo clima di tensioni e distorsioni, fossero le alte cariche dello Stato e del governo.
Giorgia Meloni non parla del giorno della Liberazione dal fascismo. Non ne ha mai parlato fino ad oggi, da presidente del Consiglio. Dopodomani sarà all’Altare della Patria con Sergio Mattarella. Aspettiamo il suo comunicato ufficiale, per capire se anche stavolta se la caverà evitando di pronunciare la parola “fascismo” (come è riuscita a fare a proposito della Shoah o delle leggi razziali del ’38), oppure dicendo che nel Ventennio lei non era nata e che dunque anche il 25 aprile del ‘45 va consegnato ai libri di Storia. Ma non ci vogliamo credere. Tacere, omettere o rimuovere le sarà assai difficile, stavolta. Ma finora l’ha fatto, con i suoi impudenti e “ignoranti” Fratelli d’Italia. La premier ha taciuto sull’intemerata del cognato Francesco Lollobrigida, occupandosi della “sostituzione etnica” solo per emettere la sua fatwa contro la vignetta satanica di un giornale, ma senza dire una parola sulla natura xenofoba e razzista della formula usata dal suo ministro.
E in fondo perché avrebbe dovuto correggerlo, se quella folle “teoria” è al centro delle “tesi di Trieste” lanciate in campagna elettorale da FdI e della propaganda contro i migranti che lei stessa e l’intera destra sovranista propugnano da anni, insieme ai complottisti antisemiti dell’Est-Europa e agli sciamani trumpisti di Qanon?
Soprattutto, la Sorella d’Italia ha taciuto sulle manipolazioni e sulle provocazioni di Ignazio Benito La Russa. Alle prime appartengono le sparate sull’eccidio di Via Rasella, compiuto dai partigiani criminali a spese di una “banda di pensionati altoatesini”. Alle seconde si iscrive l’ultima, di tre giorni fa, con la quale il presidente del Senato ci ha tenuto a far sapere agli italiani che nella Costituzione italiana non c’è la parola “antifascismo”. Si è anche indignato, perché i giornali avrebbero strumentalmente alterato il suo pensiero, omettendo “la parola” e facendogli dire quindi che “nella Costituzione non c’è l’antifascismo” (sparare una fesseria, o rivelare una verità, per poi accusare gli appositi cronisti di aver travisato sembra essere ormai un “metodo di governo”, come dimostra per analogia la reazione del ministro Crosetto all’intervista a La Stampa di ieri, in cui riconosce con onestà quel che evidentemente non andava detto, e cioè che sul Pnrr il Sistema-Paese ha cumulato ritardi non più colmabili).
Prendiamo pure per buona la ricostruzione di La Russa. Ma sappiamo tutti che Ignazio Benito è già inciampato più volte, nelle marce su Roma del 1922 e nei cortei violenti del 1973. E allora la domanda è semplice: perché uno come lui sente il bisogno di sottolineare che nella Costituzione non c’è la parola antifascismo? Il falso storico e giuridico si smonta facilmente: a prescindere dalla forma, per l’Italia libera di allora e di oggi la sostanza della Carta del ‘48 è nutrita di antifascismo come per Shakespeare la vita degli umani è fatta della stessa materia dei sogni. Ma allora, e di nuovo: perché la seconda carica dello Stato deve uscirsene con una frase così assurda e gratuita, alla vigilia del 25 aprile? A chi giova? A chi parla?
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