Il patto che ci lega

Massimo Giannini

«In questa Costituzione c’è tutta la nostra Storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie: son tutti sfociati qui, negli articoli. E a saper intendere, dietro questi articoli si sentono delle voci lontane…». Era il 1955, e Piero Calamandrei spiegava così, a un gruppo di studenti milanesi, il «Grande Libro della Democrazia» sul quale abbiamo ricostruito il Paese tra le macerie del nazi-fascismo.

Le «voci lontane», per lui, erano quelle di Mazzini e Cavour, di Cattaneo e Garibaldi, che parlano in ciascuna delle norme sancite dalla Carta, dall’Italia che «ripudia la guerra» alla «Repubblica una e indivisibile» fondata sul lavoro. Ma erano soprattutto quelle di Matteotti e dei fratelli Cervi, di Don Minzoni e dei «centomila morti» della Resistenza. Morti di tutti i partiti e di tutte le fedi: comunisti e socialisti, popolari e azionisti, cattolici ed ebrei.

«Se volete andare in pellegrinaggio nei luoghi dov’è nata la nostra Costituzione – aggiungeva Calamandrei – andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità…». Oggi più che mai, dunque, la Festa della Liberazione è anche la Festa della Costituzione. Nata e forgiata nel ripudio della dittatura mussoliniana (come recita la XII Disposizione Finale) e con i valori dell’anti-fascismo (l’uguaglianza e la solidarietà, il rispetto per la persona e la tutela dei diritti fondamentali). Solo nell’Italia dei revisionismi storici e dei revanchismi ideologici il 25 aprile può essere considerata una ricorrenza «divisiva» o «di parte».

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