Dal Golfo agli Usa, gli assist a Di Maio che hanno blindato la nomina

Poi c’è il quarto fattore: tutto italiano. La preoccupazione principale del governo di centrodestra consisteva nell’assicurazione che la “casella” occupata da Di Maio non rientrasse negli equilibri prossimi venturi. Ossia: quando si dovranno discutere l’assegnazione di altre poltrone, quella non può essere inserita nel novero delle richieste dell’attuale esecutivo. Una sorta di garanzia per il futuro. Che in qualche modo la “squadra” meloniana è riuscita a incassare sottolineando che gli unici due “inviati speciali” dell’Ue, sono entrambi ex M5S (Di Maio e Emanuela Del Re).

Nessun ministro, infatti, ha davvero mosso all’attacco (ad eccezione di Salvini). E giovedì, quando la decisione verrà discussa al Cops (il Comitato per la sicurezza cui partecipano i 27 ambasciatori Ue), l’Italia non si metterà di traverso. Del resto Borrell aveva informato per tempo che la scelta, compiuta a novembre scorso attraverso una selezione con degli esamintaori esterni, non poteva essere ritirata. Troppi problemi di ordine amministrativo e legale. Ed è stato il ministro per i Rapporti con l’Ue, Raffaele Fitto, a ricevere la comunicazione preventiva da parte dell’alto rappresentante. a dimostrazione, insomma, che Palazzo Chigi sapeva.

“Nei confronti di Di Maio – ha spiegato ancora ieri Tajani – noi non abbiamo nulla di personale. Sappiamo che la nomina non era facilmente modificabile”. Il ministro degli Esteri italiano aveva una sola preoccupazione: precisare che nonsi trattava di una richiesta del’attuale governo. “È una scelta di Borrell – ha aggiunto – , libera, decisa in seguito alla candidatura personale di Di Maio quando era ministro degli Esteri”. L’attuale maggioranza italiana, dunque, più che fare la “guerra” a Di Maio aveva bisogno di puntualizzarne l’estraneità.

Mettersi di traverso, del resto, sarebbe stato controproducente. Per l’Italia aprire un piccolo contenzioso con i Paesi del Golfo Persico non è utile. E sicuramente non è fruttuoso ostacolare una procedura che perfino Washington ha avallato.

Meloni, dunque, dovrà ingoiare questo boccone amaro e fare buon viso a cattiva sorte. Anche perché nei prossimi giorni ci saranno sul suo tavolo dossier molto più delicati di questo. Dalla riforma del Patto di Stabilità alla ratifica del Mes. Dalla ridefinizione del Pnrr alla correzione delle concessioni dei balneari. Aprire un altro fronte non sarebbe stato utile.

REP.IT

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