Restituiamo un valore alle nostre storie
Marco Follini
Caro direttore, c’è sempre una ragione, quando non se ne viene a capo. E la ragione delle date che non tornano e degli equivoci della memoria sta anche nel fatto che il mantra della classe politica che si è affermata negli ultimi tempi è stato quello di un’innovazione spinta fino alle soglie dell’improvvisazione. Dopo anni e anni nei quali tutti noi abbiamo preso a pugni il nostro passato, dopo che nessuno più ha rivendicato la propria storia, e semmai s’è fatto a gara per cancellarne ogni traccia, sarebbe stato davvero difficile immaginare che si fosse riusciti a conservare, e semmai affinare, una minima capacità di fare i conti con le radici della vita repubblicana.
Ora, questo difetto appartiene un po’ a tutti. E di certo non giustifica le aberrazioni di certa destra, né i suoi silenzi, né certe sue parole equivoche. Ma noi, figli della Prima repubblica e dei suoi gloriosi partiti di una volta, forse abbiamo qualche responsabilità in più per aver spezzato il filo che ci legava alle nostre tradizioni. Infatti, abbiamo cambiato nome, deposto le insegne, bandito ogni forma di nostalgia e quasi manifestato imbarazzo per essere stati quelli di prima. Una volta che non c’erano più la Dc, il Pci e tutti gli altri, ci è sembrato doveroso rivendicare l’unico titolo che continuava a contare: quello di essere “post” qualcosa. Un po’ poco per salire in cattedra.
È ovvio che la politica sia movimento, innovazione, ricerca e scoperta di nuovi orizzonti. Ma ogni destinazione dovrebbe sapersi confrontare anche con la sua stessa origine. E immaginare il percorso storico come uno svolgimento e non come un susseguirsi di strappi e lacerazioni. Per noi, invece, ultime generazioni dei partiti che furono, l’arrivo finiva per essere solo il capovolgimento della partenza. Così, abbiamo fatto del nostro meglio per perderci. I democristiani intenti a dirsi popolari e mai più Dc. I comunisti pronti a rivendicare di non essere mai stati tali. E via dicendo. Quasi che il nostro stesso passato fosse diventato una tassa che ci si poteva esimere dal pagare.
Per questa via si arriva all’ultimo paradosso della politica italiana. E cioè al fatto che quanti possono rivendicare qualche merito quasi se ne vergognano, o almeno se ne tengono a prudente distanza. E quanti invece si dovrebbero distaccare dal torvo passato, quantomeno quello dei loro antenati, finiscono quasi per rivendicarlo adottando tutti quei giri di parole e/o quei colpevoli silenzi che dovrebbero far da scudo alle loro traballanti coscienze. Senza riuscirci, peraltro.
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