L’handicap del Belpaese

Augusto Minzolini

È il passato che ci tira per i piedi e ci riporta indietro. I fantasmi di una tragedia da cui avremmo dovuto imparare la lezione e che, invece, ci perseguitano. Oppure un sogno agognato che non si avvera. Oggi si celebra il 25 aprile, la festa della Liberazione, quello che dovrebbe essere un anniversario di riconciliazione, di unità del Paese. E che si trasforma puntualmente in un giorno di polemica. Mai come in questa occasione con l’avvento di un governo di destra-centro, la sinistra in tutte le sue forme (complice anche la superficialità con cui qualche esponente dell’attuale maggioranza di governo congettura su certi argomenti) ne ha fatto un tema di divisione. Il problema, però, non è il fascismo con cui questo Paese ha fatto i conti da un bel po’. Quello semmai è un pretesto, l’alibi con cui la sinistra populista punta a compattarsi, la questione con cui tenta di delegittimare l’attuale governo e la sua maggioranza. Ciò che deve preoccupare, invece, è una lacuna, una questione irrisolta che nei momenti difficili può provocare seri danni: l’assenza di un sentimento nazionale unitario. Quello spirito che ancora manca come lamentava Silvio Berlusconi nel famoso discorso di Onna di 14 anni fa (che oggi pubblichiamo su Il Giornale) e che dovrebbe animare tutte le forze politiche. L’anelito che trasforma un Paese in una Nazione.

Non si tratta di pura retorica. Tutt’altro. Semmai è il vero handicap italiano, quello che impedisce alla maggioranza e all’opposizione del momento di riconoscere e di proteggere insieme l’interesse nazionale. È l’handicap che ci ostacola nell’individuare una politica estera comune che dia più peso all’Italia nel mondo, nel fare sistema in economia, nell’introdurre una riforma istituzionale condivisa. Restiamo purtroppo un Paese irrimediabilmente diviso tra guelfi e ghibellini. Che senso ha, infatti, in una giornata come questa riaprire vecchie ferite all’insegna delle speculazioni politiche, proprio quando lo scontro a livello globale è tra le democrazie occidentali e altri totalitarismi, autarchie, regimi. Basta pensare all’Ucraina o a Taiwan. L’importante semmai è serbare il ricordo, l’intento e l’impegno comune affinché l’Italia non riviva una terribile e tragica dittatura come il ventennio fascista. E su questo francamente nessuno ha dubbi, a destra come a sinistra (a parte il pugno di nostalgici che non manca mai). Come nessuno ha dubbi sul valore della Resistenza. Eppure visto che a volte per avvelenare il presente fa comodo tirare in ballo vecchi fantasmi, sono giorni che assistiamo ad una mezza guerra civile combattuta a parole. Con il rischio che alla fine qualcuno ci creda.

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