Giorgetti: «Con queste regole europee dovremo rivedere anche gli investimenti»

di Federico Fubini

Giorgetti: «Con queste regole europee dovremo rivedere anche gli investimenti»

Giancarlo Giorgetti non è sorpreso. Sapeva da quando ha accettato l’incarico che, come ministro dell’Economia, avrebbe governato un cambio di stagione. Sono finiti gli anni sull’orlo della deflazione e quelli della pandemia, che avevano portato la Banca centrale europea a sostenere il debito dell’Italia. Si spera siano nel passato anche gli choc — il Covid stesso, la crisi energetica — che avevano indotto a sospendere le regole di bilancio europee. Quella fase era stata dura, certo. Ma ora Giorgetti dovrà navigare in tempi normali – senza sostegni dall’esterno – con un’economia e specialmente un debito pubblico che sono tutto salvo che normali. Il sistema Italia era fragile e lo resta: anche ora che le regole di bilancio europee stanno per tornare.

La reazione

Per questo la reazione del ministro alla proposta della Commissione è a tre stadi. C’è sicuramente del disappunto perché gli investimenti del Piano nazionale di ripresa (Pnrr) non risultano esentati, né il loro peso è mitigato, nella valutazione dei conti pubblici. Il commento di Giorgetti alla proposta della Commissione è stato immediato: «È un passo avanti – ha detto a caldo – ma noi avevamo chiesto l’esclusione delle spese d’investimento, incluse quelle tipiche del Piano nazionale di ripresa e resilienza sul digitale e la transizione verde, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è». La proposta

Il flusso delle informazioni da Bruxelles

Poi però, con il flusso delle informazioni da Bruxelles e l’esame dei documenti, il ministro ha iniziato a mostrare anche dell’irritazione e soprattutto una dose massiccia di realismo. Quest’ultimo è legato al fatto che l’inevitabile compromesso fra le posizioni di diverse nelle capitali non renderà morbidissimi i nuovi vincoli. Dice il ministro: «Il nuovo Patto di stabilità impone una rigorosa revisione della spesa (pubblica, ndr), di tutta la spesa, compresi gli investimenti». Il perché è nelle regole proposte da Bruxelles e, almeno queste, ben viste a Berlino: in base ad esse la spesa pubblica potrà crescere percentualmente negli anni a venire, in sostanza, meno di quanto sia cresciuta l’intera economia negli anni passati; e poiché l’Italia quasi non è cresciuta nell’ultimo decennio, la spesa dovrebbe restare molto compressa e servirebbero tagli su altre voci se si volessero fare investimenti. Giorgetti osserva: «La spending review dovrebbe riguardare anche gli investimenti del Pnrr che hanno un impatto sugli obiettivi». In altri termini, quelli basati su prestiti europei (per circa 120 miliardi di euro) che entrano nel debito pubblico.

Non rinunciare ai prestiti europei

Questo però per il ministro non significa rinunciare ai prestiti europei. Piuttosto Giorgetti non vuole più casi della categoria dello stadio di Firenze, cioè a basso moltiplicatore di crescita futura. «Si tratta di riconsiderare i programmi, di ripassarli al setaccio e eventualmente riallocare le risorse su quelli realmente in grado di aumentare il potenziale produttivo del Paese». Esempi virtuosi? «I programmi di RePowerEU», i piani di transizione e indipendenza energetica che il governo presenterà tra poche settimane a Bruxelles. Poi però nel ministro c’è anche dell’irritazione, ma non per il contenuto dei documenti ufficiali. È per le voci da Bruxelles che, se passasse questa proposta, accreditano per l’Italia un cammino preciso: correzioni nette di bilancio da 0,85% del prodotto lordo all’anno (16 miliardi di euro ai valori del 2022) per stare nelle regole con programmi di risanamento quadriennali; o correzioni da 0,45% (8,5 miliardi) per stare nelle regole con programmi magari su sette anni, che però implicano un percorso preciso di riforme e investimenti. La logica di Bruxelles è che quella stretta da 0,85% del Pil all’anno sarebbe quanto serve all’Italia per risanare fino al punto in cui il debito inizia a scendere da solo, senza nuovi sacrifici. Quegli interventi porterebbero il surplus primario di bilancio – quello prima di pagare gli interessi – così in alto da tagliare il debito rispetto al Pil ogni anno. il piano

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