Pd e M5s, dialogo e piroette a sinistra

L’attuale sinistra invece appare destrutturata come mai lo è stata nella sua lunga storia. Ed è probabilmente questa circostanza che — nelle rare occasioni in cui è costretta a rispondere a delle domande in pubblico — fa scivolare Schlein nei gorghi di nebbiose fumisterie che le consentono di affrontare in qualche modo l’imbarazzante situazione in cui viene a trovarsi chi deve pronunciare dei chiari «sì» o dei netti «no». Cosa per lei al momento impossibile. La costruzione di un fronte alternativo alla destra (e competitivo con essa nel caso di elezioni anticipate) richiederebbe una sapienza e una lungimiranza ad oggi non riscontrabili in nessuna delle persone preposte all’impresa. Può darsi che piani per affrontare un’eventuale emergenza esistano e che siano stati per un qualche motivo secretati. Ma è anche possibile che gli stati maggiori dell’opposizione non si siano neanche posti un tal genere di problema. E che abbiano deciso di affrontarlo tra quattro anni nell’immediata viglia delle elezioni politiche. Nel frattempo, Pd e M5S si occuperanno esclusivamente della competizione tra loro. Oggi per i sondaggi, domani per le europee del 2024. Il dopodomani non è contemplato.

Una condotta assai poco previdente. In primo luogo, perché — a differenza di quel che fu per la destra nello scorso decennio — non mette nel conto l’imprevisto. In secondo luogo, perché questo modo inconcludentemente ossessivo di guardare alle relazioni con il M5S lascia del tutto sguarnito il terreno riformista peraltro terremotato dalla rottura tra Calenda e Renzi. Per la prima volta nella storia della sinistra italiana degli ultimi settantacinque anni, a guardare in direzione del centro ci sono solo dei cani sciolti. Pochissimi oltretutto. Qualcuno, nel frattempo, abbandona silenziosamente la nave. A parte Elly Schlein e i suoi adepti, i dirigenti che già avevano avuto un ruolo nel Pd, si dedicano — come s’è detto — esclusivamente ai rapporti con Giuseppe Conte. Non ci stupiremmo, a questo punto, se fosse proprio Conte, con una delle piroette in cui si è specializzato nella passata legislatura, ad andare a occupare lo spazio centrista lasciato scoperto da ex comunisti ed ex democristiani. La capacità di dialogare con settori della destra non gli manca. Tra l’altro la storia della Prima e della Seconda Repubblica insegna che in quell’area centrista voti, percentuali ed eletti valgono più del doppio di quanto contino ai lati estremi del Parlamento. Il 15% di cui dispone il M5S è una miniera d’oro. E, se ben impiegato, potrebbe produrre esiti ad oggi inimmaginabili.

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