Perché il governo deve votare no
Veronica De Romanis
Ieri la Commissione europea ha presentato la sua proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita, ossia l’insieme di regole che limitano il disavanzo e il debito degli Stati appartenenti all’area dell’euro. La proposta prevede che i singoli governi presentino piani quadriennali di riduzione del debito da concordare con Bruxelles. L’obiettivo è quello di eleminare il vecchio schema basato su procedure multilaterali per far spazio a negoziati bilaterali: un approccio che non è piaciuto alla Germania. Nei giorni scorsi, il ministro delle Finanze Christian Lindner aveva chiesto di mantenere criteri quantitativi uguali per tutti in modo da ridurre il potere discrezionale della Commissione in sede di negoziato. Nello schema rivisto, le istanze tedesche sono state accolte solo in parte. Nello specifico, il rapporto debito/Pil a fine periodo deve essere inferiore al livello inziale e quello disavanzo/Pil deve scendere di mezzo punto percentuale l’anno se superiore al 3 per cento. Questa seconda proposta rischia di rivelarsi pro-ciclica, il contrario dell’obbiettivo di Bruxelles, ma tant’è. Per il resto, poco è cambiato rispetto alla prima bozza di riforma presentata nell’autunno scorso. E, di conseguenza, le criticità già evidenziate su questo giornale restano. A cominciare da quella legata al fatto che al centro della proposta vi è la sostenibilità dei debiti degli Stati. Il nuovo impianto prevede, infatti, regole diverse in base al livello di indebitamento. Chi ha un rapporto debito/Pil superiore al 60 per cento è sottoposto a una procedura più rigorosa. La Commissione definisce una traiettoria tecnica, ossia un quadro di riferimento che servirà ai governi per delineare il percorso di aggiustamento. Quest’ultimo si concentra su un unico indicatore: la spesa primaria calcolata al netto degli interessi e della componente legata alla disoccupazione. La traiettoria viene definita ex-ante con l’ausilio di un’analisi di sostenibilità del debito effettuata dalla Commissione. Ciò rappresenta un elemento di forte criticità. L’analisi di sostenibilità del debito è una procedura complessa e poco trasparente. Si basa, infatti, su previsioni a medio/lungo termine di diversi indicatori quali la crescita economica (per un lasso di tempo ben più esteso di quello del ciclo), i tassi di interessi, l’avanzo primario, lo stato di realizzazione delle riforme e il loro impatto sul bilancio dello Stato. Il rischio di errore, in un periodo come quello attuale caratterizzato da grande incertezza, è elevato. In caso di valutazione negativa sulla sostenibilità del debito, i mercati potrebbero reagire negativamente. È evidente che il grado di discrezionalità di giudizio da parte di Bruxelles diventa significativo.
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