La giornata del Def tra scuse, ritardi, indisposizioni. In Parlamento va in scena una sfilata di orecchie basse

di Fabrizio Roncone

Parola d’ordine: minimizzare. E a un certo punto il dem Stumpo cerca la rissa

La giornata del Def tra scuse, ritardi, indisposizioni. In Parlamento va in scena una sfilata di orecchie basse

Mai viste tante orecchie basse in Transatlantico. E facce biancastre. E parlamentari che biascicano scuse come pinocchi ubriachi.
L’ordine, tra i ranghi della maggioranza, è: minimizzare.

Alla buvette s’avvicinano e soffiano il loro mantra: può succedere di non avere i numeri necessari per approvare questo benedetto scostamento di bilancio, ma comunque tra poco rivotiamo, e buonanotte.

Chiacchiere: un pasticciaccio così brutto è inammissibile. Tanto più sei hai la presidente del Consiglio che è a Londra, a Downing Street, a incontrare per la prima volta il premier britannico e a rassicurare — come sempre accade quando Giorgia Meloni va all’estero — i mercati, sospettosi, e propensi a esserci ostili.

Ecco, appunto: c’è qualcuno di voi che ha parlato con la Meloni? (furibonda, ha preteso l’elenco dei 25 assenti ingiustificati di giovedì pomeriggio: 11 della Lega, nove di FI, cinque di FdI).

Certi fanno i vaghi e si girano, altri entrano in Aula. Un deputato di Fratelli d’Italia — occhiata piena di perfidia — indica Luca Ciriani, il ministro per i Rapporti con il Parlamento, un friulano elegante, pacato, che adesso sembra uno di quelli che nei film di Sergio Leone hanno appena passato un brutto quarto d’ora. Del resto: parlateci voi, con la Meloni, mentre ti chiede per quale motivo pensi t’abbia nominato ministro, se non per controllare che i gruppi parlamentari della maggioranza marciassero compatti, e tu, però, nel giorno decisivo, non c’eri («Le ho spiegato che ero al Senato, trattenuto da una capigruppo…»).

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