Primo maggio di resilienza tra economia e armocromia

MASSIMO GIANNINI

Ci aspetta un bel Primo Maggio. Da una parte il vecchio “Partito del trolley”, che in un giovedì di euforia vacanziera alla Camera ha rischiato di far cadere il governo. Dall’altra il “nuovo” Partito democratico, che in attesa di tirare fuori un’idea sull’economia ci ha fatto scoprire le meraviglie dell’armocromia. In mezzo c’è un’Italia distratta ma non disfatta, che aspetta più fatti e meno parole. Ricucita con tante scuse a tutti la “toppa” sul Def, domani Giorgia Meloni potrà dunque regalare il suo decreto-spot ai lavoratori italiani, offrendogli in dono per l’occasione un taglio delle tasse sulle buste paga da 16 euro al mese. E va bene così, una pizza e una birra in più, nel Paese che in materia di piccoli cadeau tributari ha già visto e vissuto di tutto, dall’abolizione dell’Imu di Berlusconi agli 80 euro di Renzi.

La verità è che la nave in qualche modo va, ma la premier naviga a vista, con le mani legate sul timone. I sindacati, Maurizio Landini in testa, accusano la presidente del Consiglio e invocano tagli assai più massicci del cuneo fiscale. Giusto, ma farebbero bene a chiedersi perché altrove, in Occidente, a parità di incidenza della tassazione i livelli retributivi dei lavoratori siano stati difesi molto più che da noi. A marzo i salari medi sono cresciuti del 2,2%, mentre l’inflazione galoppa al 7,6: il caro-vita ha eroso il potere d’acquisto di 5,4 punti. Nell’intero 2022 l’aumento salariale medio è stato del 2,3%, livello più basso d’Europa. Al netto dei prezzi, il salario reale è calato di oltre 2 punti. Oggi 7 milioni di dipendenti aspettano il rinnovo dei contratti. Quasi 3 milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni non studiano e non lavorano. Al Sud è occupata meno di una donna su tre. È qui la Festa?

Se guardiamo alla congiuntura un po’ di festa ce la meriteremmo pure. Nel primo trimestre di quest’anno l’economia italiana è cresciuta dello 0,5%. Nello stesso periodo la Germania cresce zero, la Francia 0,2%, la media Ue un modesto 0,1. “Italia locomotiva d’Europa”, verrebbe quasi da dire. Ma evitiamo trionfalismi ridicoli. Nella morsa delle due emergenze, la pandemia e la guerra, ci difendiamo meglio perché prima stavamo molto peggio degli altri. Dice Giancarlo Giorgetti: chi vuole capire sul serio il significato della parola “resilienza”, così tanto evocata negli ultimi tempi, “deve guardare all’economia italiana”. Ed è vero: complice un’iniezione di bonus a pioggia e di risorse pubbliche mai viste dal dopoguerra (quasi 250 miliardi, con 9 scostamenti di bilancio) negli ultimi tre anni il Paese ha retto l’urto. I grandi dell’energia hanno riconvertito produzioni e macinato extraprofitti, le aziende del Quarto Capitalismo hanno raddoppiato l’export, le piccole e medie imprese hanno mantenuto competitività. Catene del valore e filiere produttive si sono rivelate più forti del previsto. Ma ancora una volta, sussidi a parte, assistiamo al trasferimento di ricchezza dal lavoro al capitale, e dunque all’allargamento delle disuguaglianze sociali. I costi della crisi li paga il ceto medio, che non sfugge ai rincari nel carrello della spesa e alla stangata nelle bollette di luce e gas.

Che fare? Dalla lettura del Def e dalle esternazioni del ministro del Tesoro, una mezza conclusione si può trarre: poco e niente. Con il debito a oltre 2.700 miliardi, gli spazi fiscali per misure espansive sono ridotti al lumicino. Quindi addio Flat Tax al 15% uguale per tutti (costa 70 miliardi) e arrivederci “detrazione choc” da 10 mila euro per ogni figlio (costa 88 miliardi). In rapporto al Pil, si copre l’intera spesa previdenziale (16,1% nel 2026) e neanche tutta la spesa sanitaria (in calo al 6,2% a fine triennio). Per il resto, come dice Giorgetti, c’è solo da sperare che nei prossimi due trimestri la crescita si mantenga a questi ritmi, per far sì che si allentino almeno un po’ “le pressioni sui saldi di finanza pubblica” e si creino “margini per nuovi interventi in autunno a sostegno di imprese e famiglie”. Qui sta la vera e per adesso unica e inattesa virtù del governo dei Patrioti (insieme alla fedeltà euroatlantica sul fronte ucraino): l’approccio “prudente e equilibrato” del bilancio dello Stato. Giorgetti lo rivendica. Anche a costo di far imbestialire gli orfanelli salviniani del Papeete, che pretenderebbero l’abolizione immediata della legge Fornero o almeno il raddoppio delle pensioni minime.

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