Napoli, la gloria e la clemenza
Per i tifosi è il momento di lanciare, insieme alle grida di gioia, anche un pernacchio doc contro i luoghi comuni. Certo, Napoli ha dovuto sopportare tante cattiverie. Ma «la vera gloria di un vincitore è quella di essere clemente»
«I problemi della vittoria sono più piacevoli di quelli della sconfitta, ma non sono meno ardui». Lo sosteneva Winston Churchill, che non s’era portato a casa uno scudetto, ma qualche successo l’aveva ottenuto. La frase mi è tornata in mente alla vigilia del trionfo del Napoli e di Napoli. Trionfo meritato, che deve riempire di soddisfazione chi ama il calcio. Finché vincono i più forti, andiamo bene.
Cosa aspetta i tifosi azzurri nelle prossime ore o, tutt’al più, nei prossimi giorni? Il terzo titolo, molto entusiasmo e una lunga festa. La scudetto precedente risale al 1990: chi lo ricorda non è più giovane, l’anagrafe non mente. Portare a casa il titolo nazionale è una gioia che cancella di colpo anni di ansie, dubbi e disturbi psicosomatici. Una botta di infanzia di cui tutti, a ogni età, avremmo bisogno.
Solo chi ha sofferto sa sorridere, nel calcio e non solo. E Napoli è una città che, sulla sofferenza, potrebbe tenere il congresso mondiale. Ma anche sull’intelligenza emotiva che porta una comunità a reagire. Vincere — scusate, stravincere — il campionato è anche una forma di riscatto? Certo: e allora? Il successo sportivo — dovunque — si carica di allegorie, fantasie, ricordi, rivincite. Perché lo scudetto a Napoli dovrebbe costituire un’eccezione?
Non tutte le vittorie sono simili, e non tutte le celebrazioni sono uguali. Alcune squadre le hanno rovinate, insultando gli avversari sconfitti; tanti tifosi hanno esagerato. Non parliamo dei delinquenti, che in fondo tifosi non sono (solo fanatici in cerca di un’occasione). Parliamo dei sostenitori di una squadra. Quelli per cui uno scudetto è un cerchio che si chiude. Un momento di armonia.
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