Governo-sindacati, il fastidio di Landini. E Meloni: era una mano tesa, noi su mondi diversi
Nei piani della premier questa è una giornata ruba-bandiera, in cui la leader della nuova destra prova a sfilare quello che per i suoi storici avversari politici è il più identitario dei vessilli. «Ci tengo tanto a questo decreto perché il sostegno al lavoro è alla base della crescita economica, che è la nostra più grande sfida», è la formula con cui Meloni risponde a chi le domandi perché si sia arrabbiata tanto per lo «scivolone» di giovedì alla Camera dei deputati. La maggioranza si è trovata senza numeri in Aula per approvare lo scostamento di bilancio da 3,4 miliardi con cui finanziare il decreto lavoro e il Cdm di oggi per poco non saltava. La premier ha richiamato bruscamente i gruppi alla responsabilità e alla disciplina e ora non nasconde il sollievo per aver «salvato» il provvedimento: «La figuraccia è stata subito risolta e l’incidente, che è stato un po’ ingigantito, non ha avuto impatto sul cronoprogramma».
Nella determinazione con cui Meloni mostra di voler tenere testa alla «triplice» riemerge l’antica sfida della leader che per anni, anche quando guidava un partito piccino picciò, ha fatto il controcanto ai sindacati (e alla sinistra) nel giorno del Concertone. Nel 2019 Meloni salì sul palco di «Sconcerto», a Jesolo, per cantarle ai sindacati che «non pensano ai lavoratori ma ai loro iscritti». E ora che guida il governo, deve mantenere le promesse gridate da centinaia di palchi e dimostrare che il Cdm di oggi non è «solo propaganda». Il taglio del cuneo sarà finanziato per una manciata di mesi appena, eppure per la premier si tratta di una misura concreta: «Strutturale, non solo simbolica».
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