Primo maggio: un mondo cambiato

di Dario Di Vico

Una novità mediatica non sembra però destinato a recepire la vera discontinuità del nostro tempo. È il mutamento del rapporto vita-lavoro, uno dei tanti portati della crisi pandemica e che ha già prodotto una significativa fenomenologia

Questo Primo Maggio che andiamo a celebrare una novità la presenta. È vero che le organizzazioni confederali di Cgil-Cisl-Uil hanno scelto come sede della tradizionale manifestazione nazionale Potenza e hanno confermato anche il Concertone romano, ma il governo in carica questa volta ha scelto proprio la data della festa dedicata
al lavoro per tenere un Consiglio dei ministri ad hoc e promulgare nuove norme in materia di contratti a termine e di revisione del reddito di cittadinanza. È una scelta simbolica che va oltre la reale portata dei singoli provvedimenti: dal Consiglio non uscirà infatti un jobs act della destra né un’ampia riforma del mercato dell’occupazione ma specifici e chirurgici indirizzi di legge che modificheranno alcune norme introdotte a suo tempo dal governo Conte 1. Con questa scelta però Giorgia Meloni vuole in qualche modo raccontare quello che le elezioni politiche hanno dimostrato, che la grande platea dei lavoratori italiani avrà anche in tasca la tessera delle confederazioni del Novecento, ma in termini di consenso politico costituisce uno dei retroterra del suo partito e del progetto di costruire una destra conservatrice e tendenzialmente centrista.

Non la si può certo contestare a priori anche perché tutte le ricerche demoscopiche, tese a leggere la composizione sociale del voto, sostengono che lo stesso orientamento fattosi largo tra le tute blu lo si ritrova, almeno per ora, anche tra i titolari di impresa. La mossa del Consiglio dei ministri del Primo Maggio è dunque la sottolineatura di un obiettivo raggiunto: un consenso di tipo interclassista. Che poi le relazioni con i sindacati siano tutt’altro che idilliache e che le tre sigle maggioritarie abbiano già varato a maggio un calendario di manifestazioni, tese a contestare le scelte concrete e le priorità adottate dal governo, cambia poco. Siamo nel campo degli equilibri politici romani ma lontani da un vero ascolto della società.

Perché questo Primo Maggio reca con sé una novità mediatica non sembra però destinato a recepire la vera discontinuità del nostro tempo, che invece nel giorno della festa del lavoro avrebbe pieno diritto a trovare eco . È il mutamento del rapporto vita-lavoro, uno dei tanti portati della crisi pandemica e che ha già prodotto una significativa fenomenologia. Gli esperti si dividono nell’interpretazione dei dati: c’è chi sostiene valida anche per l’Italia la tesi delle grandi dimissioni e chi invece parla di accentuata mobilità (e ricettività) del mercato del lavoro ma anche in questo caso cambia poco. Stiamo parlando di una nuova e profonda sensibilità che investe una larga fetta della popolazione lavorativa e che le imprese più attente hanno monitorato e in qualche maniera cercato di affrontare. Il lavoro, qualsiasi e a ogni costo, è stato derubricato: si cercano soddisfazione, mobilità verticale, conciliazione del tempo «ceduto» al datore di lavoro con il resto della giornata. Non è certo un caso che si siano avviate esperienze-pilota di riduzione della settimana a quattro giorni lavorativi e che, soprattutto, il lavoro da remoto sia diventato una componente strutturale dell’organizzazione di impresa. Che ha portato a rivedere la logica dei grandi spazi destinati ad uffici, a porsi il problema della misurazione della prestazione individuale, a ripensare la tipologia di ingaggio proposta ai dipendenti che lavorano da casa.

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