Elly Schlein: “Basta tartassare il lavoro, è ora di aumentare le imposte sulle rendite”
C’è una politica paternalista che prende in giro i giovani che non ce la fanno a uscire di casa senza considerare i salari troppo bassi, il lavoro troppo precario. Il governo ha cancellato anche i 330 milioni di supporto per gli affitti, che chiediamo di ripristinare perché il diritto alla casa è parte della stessa storia. E c’è un nesso anche con la denatalità, che la maggioranza a parole dice di voler combattere».
Perché a parole? Ci saranno anche nel decreto primo maggio nuove agevolazioni per chi ha figli.
«Perché
se pensano che bastino gli incentivi fiscali, non hanno capito nulla.
Come pensano di rispondere alle giovani generazioni che hanno contratti
che durano uno o due mesi e non sanno se ce l’avranno il giorno dopo?
Come possono pensare che basti uno sconto sulle tasse per metterli in
condizione di non aver paura del futuro? È la precarietà a comprimere i
consumi e pregiudicare la possibilità di avere una famiglia per chi la
vuole. Aggiungo un altro tassello, c’è da scrivere le nuove tutele del
lavoro digitale».
Su questo non sono stati gli stessi
sindacati a restare indietro? Più attrezzati a difendere le tutele del
lavoro novecentesco e invece inermi davanti all’algoritmo?
«C’è
un ritardo, ma abbiamo visto passi avanti importanti nel tentativo di
sindacalizzare impieghi costruiti per mettere i lavoratori gli uni
contro gli altri, per fare in modo che non si incontrino mai, che
entrino solo in competizione. Non è accettabile che un rider nel 2023
esca di casa senza assicurazione, senza tutela della malattia, sfruttato
a cottimo».
Cosa proponete?
«Che vengano
rafforzati gli elementi di trasparenza degli algoritmi che dettano legge
su quei lavoratori. In altri Paesi si è già cominciato a trattare.
Perfino l’Unione europea ha votato perché ci sia la presunzione di un
lavoro di tipo subordinato per i dipendenti delle piattaforme. E poi c’è
la questione sicurezza, lo dico agli appassionati del tema che stanno
al governo e che quando si tratta di sicurezza sul lavoro spariscono.
Anche su questo si deve fare molto di più. Con investimenti in
prevenzione, responsabilizzazione delle aziende, formazione dei
lavoratori. Ci sono centinaia di idonei a fare gli ispettori che ancora
aspettano di essere assunti».
Siete pronti a votare contro il decreto primo maggio, anche se conterrà tagli al cuneo fiscale e aiuti alle famiglie?
«Il
decreto annunciato è una provocazione insopportabile. Ruba il futuro
alle prossime generazioni ed è una sentenza di condanna alla precarietà.
Il taglio del cuneo è nettamente insufficiente, se pensiamo che nel
primo trimestre di quest’anno l’inflazione ha superato di ben 7 punti
l’aumento delle retribuzioni. Si parla di estendere i voucher e
liberalizzare i contratti a termine, è l’esatto contrario di ciò che
serve. Si dà anche la possibilità di derogare alla contrattazione con
accordi tra le parti: ma non ci sono parti alla pari tra chi può offrire
lavoro e chi ne ha bisogno. Con questo decreto i lavoratori saranno più
ricattabili. E aggiungo che la convocazione dei sindacati la sera
prima, mettendoli davanti a decisioni già prese, è un affronto ai
lavoratori e alle lavoratrici».
Giorgia Meloni ha detto: “Vogliamo onorare in questo giorno di festa i lavoratori e le risposte che attendono”.
«Ma
non ci sono risposte. Servirebbe una vera riduzione delle tasse sul
lavoro che non può che avvenire attraverso un tabù della destra: il
riequilibrio della distribuzione del prelievo fiscale complessivo e una
vera lotta all’evasione. Il governo, aumentando la soglia del contante,
strizzando l’occhio a chi evade con i condoni, sta facendo il contrario.
Hanno fatto interventi, penso all’estensione della flat tax per gli
autonomi, che calpestano il principio dell’equità orizzontale. A parità
di reddito hai lavoratori dipendenti e pensionati tassati oltre i 40 per
cento e autonomi al 15».
I dipendenti hanno tutele che gli autonomi devono pagarsi.
«Noi
proponiamo un approccio di tutele universali, a partire dagli
ammortizzatori sociali che devono valere anche per gli autonomi, come il
Pd ha ottenuto per l’assegno unico per i figli. I lavoratori non vanno
messi gli uni contro gli altri, è la cosa che la destra sa fare meglio.
Mentre non fa nulla sulle rendite finanziarie e immobiliari, che sono
tassate meno di chi lavora o fa impresa».
Ha ragione il
segretario della Cisl Sbarra, servono nuove tasse sulle rendite
finanziare? O questo è diventato un tabù non solo della destra, ma anche
della sinistra?
«Serve una redistribuzione perché se
pensiamo a quando è nata l’Irpef c’erano 32 scaglioni. Si sono ridotti a
4, il sistema si è già appiattito abbastanza, ma ogni appiattimento lo
pagano sempre le fasce più povere e le classi medie. L’idea di abbassare
le tasse a tutti nasconde la volontà di abbassarle ai ricchi facendo
mancare le risorse e i servizi ai poveri».
È quello che
sta accadendo sulla revisione del reddito di cittadinanza o serviva una
riforma che distingue gli inoccupabili da chi un lavoro può trovarlo e
magari – incentivato dall’assegno – non lo cerca adeguatamente?
«C’è
una ferita aperta nel Paese destinata ad aumentare. Abbiamo avuto un
incontro con la Caritas e una rete di associazioni che si stanno
occupando sul campo del sostegno alle persone più povere e ci hanno
raccontato della paura diffusa rispetto al venir meno dell’unico
strumento di sostegno al reddito che questo Paese si è dato. Sicuramente
si poteva migliorare, dal punto di vista delle politiche attive e poi
seguendo le indicazioni fornite dalla commissione guidata da Chiara
Saraceno, ma in un Paese come l’Italia non si può negare uno strumento
di sostegno al reddito che – lo dice l’Istat – ha impedito a un milione
di persone in più di scivolare verso la povertà assoluta nel periodo
della pandemia. Il governo riduce drasticamente le risorse contro la
povertà».
Povertà assoluta che è in aumento.
«Oggi
in Italia quasi una persona su dieci è povera e davanti a questo il
governo di Giorgia Meloni ha come priorità fare uno spezzatino del
reddito di cittadinanza per piantare bandierine ideologiche negli occhi
delle fasce più fragili. Come sempre, la destra pensa a contrastare i
poveri, non la povertà. Che ritiene una colpa individuale e non il
risultato di profonde cause sociali e di politiche da cambiare. Mi
chiedo in che Paese vivano. Con un Def che taglia su sanità, scuola e
welfare. Con l’incapacità di portare avanti i progetti del Pnrr che
servirebbero cambiare e fare ripartire questo Paese. Sono quelli che
mentre parlano di denatalità, mettono in discussione la realizzazione di
asili nido fondamentali per contrastare le diseguaglianze e per evitare
che il carico di cura continui a pesare sulle spalle delle donne».
In
Italia per la prima volta una donna guida il principale partito di
governo e un’altra il principale partito di opposizione. Eppure, non
riesce a crearsi una minima alleanza virtuosa che ci faccia uscire da
quell’indecoroso ultimo posto in Europa, Grecia a parte, in quanto a
occupazione femminile. L’opposizione potrebbe fare di più in questo
senso?
«Durante il question time con la premier ho proposto
il congedo paritario, come hanno fatto in Spagna, tre mesi pienamente
retribuiti non trasferibili tra genitori. Serve a redistribuire il
carico di cura e a incentivare il lavoro femminile più di qualsiasi
sgravio. Se ne vogliono discutere siamo qui, lo possiamo fare e
approvare anche abbastanza in fretta. Loro per ora, grazie alla manovra e
all’intervento su opzione donna, hanno solo saputo lasciare 20mila
esodate che stanno ancora aspettando di poter andare in pensione».
Un
Pd che ha abbandonato la strada del Jobs Act e che è considerato più
radicale e più “di sinistra”, è in grado di cercare un’alleanza virtuosa
con le imprese e con l’industria?
«Stiamo incontrando le
organizzazioni datoriali. Su una serie di punti c’è convergenza, su
altri chiaramente ci sono idee diverse, ma è un confronto che vogliamo
consolidare perché ci sono obiettivi comuni del Paese che vanno portati
avanti insieme. Penso a un grande piano industriale di conversione
ecologica e trasformazione digitale, a partire dal Pnrr, con
investimenti che riducano le emissioni. Penso alle politiche per
favorire la creazione di lavoro di qualità, perché come ha detto il
presidente Mattarella il precariato stride con gli obiettivi della
crescita e per questo è il primo problema da affrontare».
Come risponde a chi la ritiene rappresentante di un ambientalismo radicale e quindi pericoloso?
«Sono
radicali le aziende di Elettricità futura che chiedono spesso
inascoltate di essere mese in condizione di investire 320 miliardi da
qui al 2030 per creare nuova energia rinnovabile, creando secondo le
loro stime 540mila posti di lavoro? Sono radicali le comunità
energetiche grazie alle quali si otterrebbe il doppio risultato di
ridurre le emissioni e dimezzare le bollette?».
Forse si
tratta di capire cosa si può fare subito e su cosa bisogna andare per
gradi, come per le auto o il termovalorizzatore a Roma.
«Stiamo
perdendo talmente tanto a fare questo dibattito in Italia che
all’estero il settore dell’automotive si sta già attrezzando e la
riconversione ecologica, con la riprofessionalizzazione e la creazione
di nuove competenze, è già realtà. Suggerisco che l’Italia abbandoni il
ruolo di quella che chiede sempre proroghe e che invece si chiedano le
maggiori risorse che servono per accompagnare le nostre imprese alla
decarbonizzazione e per efficientare il nostro patrimonio di edilizia
pubblica e privata dal punto di vista energetico».
L’ha delusa l’atteggiamento di competizione del M5S di Giuseppe Conte, che definisce il Pd un partito di potere?
«Posso
dire che noi continuiamo a sentire il bisogno, dopo la sconfitta di
settembre e delle ultime regionali, di provare a unire le forze nelle
nostre differenze sui terreni di battaglia comune: la difesa della
sanità pubblica, il contrasto al progetto Calderoli di autonomia
differenziata, la scuola pubblica, il salario minimo, la conversione
ecologica. Noi continueremo su questa strada perché è chiaro che se
mettiamo avanti i temi su cui non siamo d’accordo, manchiamo alla
responsabilità che abbiamo verso chi ci vota di costruire in prospettiva
un’alternativa alle destre, che ogni giorno peggiorano le condizioni di
vita materiali delle persone. Alle amministrative stiamo facendo il
possibile per costruire alleanze a partire da un progetto. Lo faremo in
Molise e ne siamo felici perché possiamo vincere e portare un
cambiamento».
Con i 5 stelle restate divisi sulla
questione della guerra in Ucraina. Lei dice sì alla difesa del popolo
ucraino, ma no a un aumento della spesa militare, anche se oggi ci sono
oggettivamente nuovi pericoli.
«Da quando è scoppiata
l’invasione criminale di Putin nei confronti dell’Ucraina abbiamo sempre
tenuto la stessa posizione: è giusto sostenere il diritto alla difesa
del popolo ucraino. Mi convince meno infilare in questo dibattito la
questione dell’aumento lineare della spesa militare in tutti i Paesi
europei perché io sono una federalista europea convinta: penso che serva
una difesa comune e che la si farà soltanto se i governi avranno la
volontà politica di condividere le competenze e gli investimenti su un
settore di cui sono molto gelosi. La strada non è aumentare la spesa
militare di ogni singolo paese europeo, ma risparmiare facendo insieme
ricerca e investimenti».
Da quando è segretaria ci sono
stati tre addii nel Pd. Una parte dei cattolici del partito sono a
disagio davanti alle sue parole sulla gestazione per altri, che non la
vede contraria. C’è il rischio di un Pd che perde completamente la sua
ala di centro e lasci indietro anche pezzi di elettorato? Lavorerà per
evitarlo?
«Si tratta di scelte individuali che comunque
dispiacciono, si vede che si sentivano più vicini ai partiti di Renzi e
Berlusconi. Il Pd ha appena fatto un congresso che ci ha dato un mandato
preciso: tenere insieme la comunità democratica, continuare a curarne
il pluralismo, ma non rinunciare più a una direzione chiara. Credo sia
per questo che tante persone stanno tornando e più di 20mila si sono
iscritte per la prima volta».
Quindi?
«Quindi lavoreremo per valorizzare tutte le culture fondative. Dal mondo cattolico, anche fuori dalla politica, si sta alzando una forte voce di opposizione a quel che il governo sta facendo contro le persone migranti e contro i poveri. C’è un terreno comune».
LA STAMPA
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