Palazzo Chigi, si tratta ma è solo propaganda

Alessandro De Angelis

Difficile che potesse andare diversamente l’incontro del governo con i sindacati, viste le premesse, compresa la nota polemica del premier rivolta a Maurizio Landini. La convocazione, alle sette di sera del giorno antecedente al consiglio dei ministri, non è per confrontarsi, ma per raccontare ciò che si è già deciso. Insomma, da un lato c’è una classica presa in giro con l’idea (propagandistica) di proporre una “narrazione” del governo sul tema lavoro, alla vigilia del Primo maggio. Dall’altro, per le modalità con cui si è svolto, un suo utilizzo dalla controparte col medesimo scopo, in questo caso per dare una scaldatina alla piazza. La lettura alla premier dei tweet con cui, in questi anni, ha insolentito i sindacati, la presenza di una giovane precaria insieme ai segretari confederali: rispetto all’ormai desueta dinamica novecentesca, la dimensione dominante è quella esclusivamente comunicativa.

Di essa fa parte l’ennesimo proposito di una “mobilitazione”, più predicata che praticata finora, sin dal congresso della Cgil, di cui tuttavia continua a mancare una precisa piattaforma rivendicativa, fatta di proposte precise su cui gestire il conflitto, misurando su questo la propria soggettività sociale nel paese, in primis verso i datori di lavoro, vero punto debole del sindacato attuale. Che, a differenza dei sindacati francesi, tedeschi e inglesi, da “controparte” levatrice del conflitto sociale, in Italia è diventato, non oggi, “istituzione”. E quindi parte dello Stato sociale in crisi. Infatti sposta la questione redistributiva e salariale tutta sul tema del fisco, e dunque del rapporto col governo anche in un paese in cui negli ultimi dieci anni ha visto quintuplicare il numero dei poveri e decuplicare quello dei ricchi.

Si vedrà se questo pezzo di controriforma del lavoro possa rappresentare l’inizio di una nuova stagione sindacale (di lotte, si sarebbe detto una volta). Che non sia solo la richiesta di “ascolto” rivolta a chi non ha alcuna intenzione di farlo. Dietro la mancia di cinque mesi sul cuneo, il punto centrale delle misure messe in campo è un allargamento della precarietà, ovvero la piena accettazione del punto di vista delle imprese e del mercato, dal sapore quasi luterano in quanto a ostilità ai poveri. Quel primato della compatibilità sul bisogno che rappresenta il cuore del conflitto sociale risvegliatosi in Europa a colpi di scioperi generali: in Francia contro Macron, in Gran Bretagna sin da quelli di Natale, in Germania recentemente paralizzata come non si vedeva da trent’anni. Proprio sulla parola “sciopero” e sulla parola “salario” si misura uno scarto, rispetto al quadro europeo, tutto italiano.

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