Troppi disoccupati, serve una vera riforma

Elsa Fornero

Se il governo non avesse, un po’ furbescamente, scelto proprio il Primo maggio per decidere provvedimenti che, a suo avviso, dovrebbero rilanciare l’occupazione (e di certo ne abbiamo bisogno!) si sarebbe forse potuto, per una volta, alzare lo sguardo per cercare, tutti insieme, la strada da percorrere per rendere il lavoro motore non soltanto di crescita economica ma anche di coesione sociale, come raccomandato dal Presidente Mattarella. L’occasione sembra purtroppo persa con il governo che non vede l’ora di celebrare lo smantellamento del reddito di cittadinanza (nelle parole assai più che nei fatti) e inventa ogni giorno nuove, fantasiose sigle per interventi, spesso di breve durata, che sembrano destinati più ad affrontare emergenze che non a disegnare un serio percorso di medio periodo. E con l’opposizione che finisce nella trappola della polemica continua, senza presentare una vera e propria “agenda per la piena occupazione e per salari dignitosi”, inclusiva di un nuovo welfare per il lavoro in grado di integrare marginalizzati ed esclusi (giovani e donne, soprattutto). Certo, non è facile da costruirla, e ancor meno realizzarla ma frenerebbe lo scivolamento del Paese nella spirale di povertà e diseguaglianza crescenti e consentirebbe un’inversione di rotta.

Occorre guardare lontano. Il che significa anzitutto domandarsi se e quanto siamo preparati ad affrontare il cambiamento che già investe il mondo del lavoro, e che accelererà in futuro. Un primo tassello è dato dall’elenco delle nuove professioni, impensabili all’inizio del Millennio e divenute oggi lavori ben remunerati e socialmente considerati, in campi non più confinati nei laboratori di ricerca, come la robotica, l’intelligenza artificiale, le biotecnologie, la genomica, lo sviluppo di materiali avanzati. Dal vertice annuale di Davos alla McKinsey, le più note analisi delle nuove professioni citano (spiace per Rampelli ma qui le traduzioni dall’inglese sono spesso carenti): social media manager, influencer, data analyst, esperti di cyber-security o di bitcoin, piloti di droni, tecnici dell’auto senza conducente (manca l’armo-cromista ma è solo questione di tempo); senza dimenticare, però, all’altro estremo dello spettro, i nuovi sfruttati del lavoro su piattaforma digitale, come i “riders”, per i quali mancano contratti adeguati e spesso anche minimi salariali. Sempre per gli analisti del futuro, più di due terzi dei bambini nati nell’ultimo decennio, svolgeranno un lavoro oggi ancora inesistente oppure largamente ignorato.

Le transizioni tecnologiche, soprattutto quando affrontate sulla difensiva e con scarsa competenza, lasciano sul campo molti perdenti e provocano lacerazioni sociali. E’ compito della politica cercare di mitigarle, senza tuttavia perdere di vista l’obiettivo finale di accompagnare il cambiamento, facendo in modo che esso porti benefici al maggior numero di persone, attraverso una loro adeguata partecipazione alla vita economica e un reddito dignitoso.

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