Il pacifismo arcaico: ancorato al passato, il movimento non si è evoluto
Domenico Quirico
Combattere contro la guerra. Perché il male è il male, l’idiozia è l’idiozia, il massacro è il massacro. Questo è il pacifismo. La sua virtuosa perennità si radica proprio nel ritenere che nessuna ragione al mondo consente di farsi spettatori passivi, propagandisti o peggio ancora complici della guerra e dei suoi riferibili orrori. Era così ai tempi della battaglia di Romain Rolland e di un altro pugno di uomini celebri e oscuri che si batterono, invano, nel 1914 contro l’inutile strage della Grande Guerra. La gloriosa battaglia dei pacifisti per fermare l’inutile strage in Ucraina (e un’altra guerra mondiale), più di un secolo dopo, appare altrettanto tragicamente destinata alla sconfitta, il doloroso spasimo a vuoto di una impotenza. Con la differenza che oggi non si vedono in giro, al loro fianco, neppure gli intellettuali capaci di resistere almeno con un po’ di ossificata letteratura ai fanatismi e agli interessi, che provino vergogna di invadere perfino la pace; e ricordino che, se bisogna battersi poiché non si può fare diversamente, allora, non bisogna darvisi del tutto, a quella necessità, e pensare al mondo del dopo. Ecco: il gigantesco, devastante tradimento dei chierici.
Una premessa per chiarire. Per pacifisti intendo coloro che invocano una conclusione senza vinti né vincitori, non certo quelli che si camuffano dietro la parola pace per dar dignità a disfattismi ripugnanti o invitano a diserzioni, aperte o larvate, rispetto alle responsabilità del Prepotente del Cremlino.
Intendo non cenacoli pacifisti da salotto o da editoriale. O che vogliono lucrare qualche preferenza elettorale distinguendosi dal coro degli schierati, dei senza dubbi, dei devoti alle pressioni padronali della atlantica superpotenza. Intendo i non iscritti a niente, umili cittadini, famiglie, gli antichi uomini di buona volontà; come coloro, per esempio, che da 57 sabati, da quando è iniziata la guerra, si ritrovano nel centro di Torino per un raduno di testimonianza. Ebbene: il numero non supera mai la cinquantina, l’attenzione che i passanti dedicano loro, in particolare i giovani, è distratta, indifferente, infastidita.
Come nel 1914, con il riscaldarsi degli animi, chi è contro la guerra è solo, svillaneggiato dai fanatici della vittoria, accusato di essere filo putiniano, un codardo o peggio ancora al redditizio servizio delle autocrazie criminali. Perché la pace non riempie le piazze? La risposta è nell’esser rimasto, il suo partito, virtuosamente arcaico, santamente immobile, di ispirazione religiosa o laica che sia: in fondo pre-moderno nella convinzione che l’essere pacifisti è un dovere morale quanto essere buoni, un perbenismo malinconico. Incapace nemmeno di svincolarsi dal marchio che risale alla prima Guerra fredda, quando il pacifista spesso scendeva in piazza solo a comando, a senso unico, per i sovietici e contro l’imperialismo. Di non aver, come Putin, assimilato la lezione del Muro e dell’89.
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