L’abolizione del reddito lascia i poveri indifesi
Chiara Saraceno
Il taglio del cuneo fiscale, che da provvisorio forse diventerà strutturale, in parte risponde alle difficoltà dei lavoratori poveri che in questi mesi di alta inflazione si sono ulteriormente impoveriti. Una cosa senza dubbio positiva, che tuttavia lascia intatte alcune delle cause che, insieme ai bassi salari, danno luogo al lavoro povero: il part time involontario, cresciuto a dismisura negli ultimi anni sia tra le donne sia tra gli uomini, ed il precariato. Anzi, il decreto lavoro approvato dal Consiglio dei Ministri con grande spolverio il primo maggio per certi versi le rafforza e allarga, con la parziale liberalizzazione delle possibilità di rinnovo dei contratti a tempo determinato e l’estensione dell’uso dei voucher proprio nei settori – agricoltura e turismo – in cui già ora c’è una forte concentrazione di lavoro povero e con scarse tutele. Ricordo che chi lavora “a voucher” non ha diritto a indennità di malattia, di maternità, di disoccupazione. Forse non avrà diritto neppure al taglio del cuneo fiscale, non apparendo come lavoratore/lavoratrice. E rischierà, se questo è l’unico reddito di cui dispone, di ricadere tra i poveri bisognosi di assistenza.
Un’assistenza di cui tuttavia il decreto stringe fortemente le maglie. Il Reddito e pensione di cittadinanza verranno infatti sostituite da due misure distinte, che dividono nettamente in due i poveri non, contrariamente a quanto vuole la narrazione governativa, tra occupabili e non occupabili, ma tra persone che vivono in famiglie senza minorenni o anziani ultrasessantenni o disabili, o non lo sono esse stesse, e famiglie che invece hanno al proprio interno queste figure. Le seconde avranno diritto all’assistenza – definita Assegno di inclusione – grosso modo alle stesse condizioni del RdC per quanto riguarda i requisiti economici (quindi mantenendo gli stessi errori di disegno segnalati dal comitato scientifico da me presieduto per quanto riguarda la necessità di rispettare, oltre al requisito Isee, tutti e tre i requisiti relativi a reddito, risparmio e proprietà immobiliare). Ma con un sostanziale peggioramento, perché i figli adulti maggiorenni non vengono tenuti in considerazione né per valutare l’adeguatezza dei requisiti né per definire l’ammontare del sostegno. In questo modo molte famiglie con minorenni verranno escluse perché superano le soglie stabilite, tanto più che anche il peso dei minorenni, già svantaggioso nella scala di equivalenza RdC, viene ulteriormente ridotto. L’unico miglioramento, imposto da una procedura d’infrazione europea, riguarda l’abbassamento del requisito di residenza da dieci a cinque anni. Positiva è l’attribuzione ai servizi sociali comunali, e non ad un algoritmo, della valutazione multidimensionale della situazione della famiglia e dei singoli componenti, sulla base della quale decidere se i componenti adulti vadano inviati ai centri per l’impiego e siano tenuti agli obblighi connessi, o invece debbano essere presi in carico dai servizi sociali. Peccato che non vengano previste risorse aggiuntive da destinare ai comuni per questa nuova mole di lavoro loro assegnata.
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