Democrazie e autocrazie, gli esiti imprevisti

di Angelo Panebianco

Il braccio di ferro in Ucraina spinge a sottovalutare l’importanza delle leadership

Nell’attesa, forse vana, dello scacco matto (una irresistibile controffensiva ucraina, una ripresa in grande stile dell’avanzata russa), constatiamo almeno che il conflitto in Ucraina ha due caratteristiche. La prima è di essere una «guerra costituente»: dai suoi esiti, plausibilmente, dipenderanno in larga misura l’ordine (chi vi eserciterà l’egemonia?) che si instaurerà nel continente europeo nei prossimi anni nonché, più in generale, gli equilibri globali (una vittoria o, per lo meno, una non-sconfitta russa, avvantaggerebbe l’alleanza cino-russa anche in Asia e in tanti altri luoghi). La seconda caratteristica è di essere un test sugli atteggiamenti degli europei: a causa della guerra, europei filo e anti-occidentali sono in grado di riconoscersi e di contarsi. Possiamo ora «pesare», mettere sui due piatti della bilancia, rispettivamente, le preferenze per l’ordine occidentale, i suoi principi, le sue regole, e le preferenze per l’ordine autocratico, i suoi principi, le sue regole. E stabilire quale dei due piatti sia più pesante dell’altro. Due opposte tesi si confrontano e lo fanno da molto prima che iniziasse l’invasione russa dell’Ucraina.

Per la prima tesi, la decadenza occidentale è inevitabile. Secondo questo orientamento, il declino della potenza del Paese-leader dell’Occidente, gli Stati Uniti, non potrà essere arrestato. Il punto essenziale, soprattutto, per chi la pensa così, è che gli occidentali, o larga parte di essi, non credono più nel valore della propria civiltà. Non sono disposti a difenderla. Come ha detto una volta Putin, il tempo della società liberale è ormai finito. Il futuro appartiene alle autocrazie. Democrazia liberale e società aperta non lo controllano più. Sono i residui di una civiltà vecchia, morente. Xi Jinping ha espresso spesso idee simili. Gli autocrati di Pechino e di Mosca non dubitano della loro superiorità, del fatto che sconfiggeranno l’Occidente e se ne spartiranno le spoglie. È una tesi diffusa anche qui da noi, benché alcuni di coloro che la condividono se ne rallegrino e altri se ne dolgano.

La seconda tesi è quella di chi continua a scommettere sulla forza e la vitalità delle democrazie occidentali. Nonostante i tanti acciacchi e al netto di tutti gli errori, le democrazie hanno un insieme di «virtù» che mancano alle autocrazie. Diffondono libertà, benessere, diritti di cittadinanza. Offrono a chi ne fa parte un modo di vita migliore di quello che sono in grado di offrire le autocrazie. Inoltre, anche se possono sembrare fragili (e aperte alle influenze maligne delle autocrazie), e divise, spesso ferocemente divise, al loro interno, sono in grado di mobilitare risorse umane e materiali, suscitare energie, che solo le società libere possiedono. Persino il confronto con la temibilissima Cina, nel lungo periodo, secondo i sostenitori di questa tesi, dovrebbe risolversi a nostro vantaggio. Democrazia e capitalismo di mercato sconfiggeranno autocrazia e capitalismo politico, controllato e guidato dallo Stato (nel caso della Cina, dal partito-Stato). Anche perché, per quanto l’immagine delle democrazie occidentali possa essere oggi appannata, i «beni» di cui dispongono, il loro stile di vita, restano i più attraenti, corrispondono alle aspirazioni di tante persone che vivono sotto cieli autocratici in ogni angolo del mondo.

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