Se il clima spinge l’inflazione

Mario Deaglio

Nella giornata di ieri sui mercati finanziari mondiali si è ripetuta una sceneggiata che abbiamo visto troppe volte negli ultimi dodici mesi: occhi tutti puntati sulla Fed che deve decidere se, e di quanto, aumentare ancora il costo del denaro, dato che l’inflazione sembra seguire un andamento altalenante, troppo lentamente orientato al ribasso. Quando prevale l’aspettativa che la Fed (e con essa, a tempo debito, la Bce e le altre banche centrali) non rialzi più i tassi – o li rialzi meno che nei nel recente passato – i mercati brindano in anticipo e i listini azionari salgono fortemente; nel caso contrario, i listini scendono, spesso in maniera rilevante. L’inflazione, intanto, prosegue un suo corso che punta verso il basso ma in maniera assai più lenta e più contrastata delle attese e il Pil dei paesi avanzati prosegue a salire a passi lentissimi, dando l’impressione di non sapere tirarsi fuori dalle difficoltà.

Perché non riusciamo a uscire da queste sabbie mobili, rese più insidiose dall’andamento sempre più incerto del conflitto ucraino e dall’esplosione improvvisa di altri conflitti di grandi dimensioni come quello che sta sconvolgendo il Sudan? La risposta potrà sembrare strana, perfino paradossale: le banche centrali non soltanto non sono onnipotenti ma soprattutto non possono nulla contro alcune delle cause dell’inflazione mondiale. In particolare si rivelano del tutto inefficaci di fronte a un cambiamento climatico che genera inflazione perché devasta la più basilare delle catene globali del valore, quella alimentare. Il circuito contro cui le medicine finanziarie non riescono a produrre effetti rilevanti si compone di tre fasi: 1) il riscaldamento globale genera siccità 2) la siccità riduce la produzione alimentare 3) i prezzi dei generi alimentari salgono fortemente. Vi è poi una quarta fase che riguarda soprattutto il Sud del mondo, ossia l’Africa sub-sahariana, parte dell’Asia Meridionale e l’America Latina: una porzione non indifferente della popolazione agricola fugge dalle campagne divenute meno produttive e si incammina verso le aree urbane, cercando di raggiungere quelle più ricche, quasi sempre all’estero.

Nei paesi ricchi, Italia compresa, le cose non arrivano a punte di drammaticità ma il meccanismo continua a procedere nello stesso modo: l’inflazione acquisita ad aprile, quella che si realizzerebbe se da maggio alla fine del 2023 l’aumento dei prezzi fosse pari a zero, è pari al 9,2 per cento per i generi alimentari e le bevande analcoliche (che sono in cima a questa poco edificante classifica) contro una media generale del 5,4 per cento. A questo punto, il fenomeno da statistico diventa sociale: beni alimentari, infatti, incidono maggiormente sui bilanci delle famiglie meno abbienti e quindi le variazioni dei loro prezzi peggiorano soprattutto la situazione dei poveri e allargano il divario dei redditi.

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.