Meloni e Macron, amici mai. Congelata la visita a Parigi: “Senza scuse non parto”
Succederà, ma prima che avvenga Meloni si aspetta una parola più chiara dal governo francese. Tajani è sopraffatto. Gli sherpa hanno lavorato per mesi a favorire toni più consoni alle relazioni tra alleati e ora è tutto di nuovo in aria. «Poi dicono che la politica italiana è incomprensibile» si sfoga il ministro. Con i suoi collaboratori, Tajani sostiene di non capire «cosa non funzioni nel sistema francese, nel rapporto tra il governo e la presidenza di Macron». Bisogna far ripartire la macchina diplomatica. E se non andrà bene, potrebbero pure volerci mesi a ricostruire un rapporto che era stato già messo a dura prova, dopo l’incidente sulla nave Ong piena di migranti costretta a sbarcare in Francia, lo scorso novembre, e dopo il mancato invito di Meloni alla cena organizzata all’Eliseo da Macron per il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e alla presenza del solo cancelliere tedesco Olaf Scholz.
Da Palazzo Chigi non filtra nessuna reazione ufficiale. Le due ore di colloquio con Macron, lo scorso fine marzo, nella stanza dell’hotel Amigo di Bruxelles, durante l’ultimo Consiglio europeo, avevano conciliato i due leader. La visita in Francia era in preparazione per fine maggio e inizi di giugno. Ora è quantomeno congelata. La premier vuole che siano i suoi ministri e i partiti di maggioranza a incaricarsi di rispondere agli attacchi di Darmanin. Lo fa Matteo Salvini, vicepremier leghista, lo fa Guido Crosetto, ministro della Difesa di Fratelli d’Italia, che chiede «le scuse formali» di Darmanin, perché «la strana e incomprensibile attitudine di alcuni esponenti di governo europei di interferire nella vita pubblica italiana ha superato il livello di guardia». È la posizione di Meloni. A Palazzo Chigi sono convinti che Darmanin sia in ricerca di visibilità e che stia preparando un’agenda politica per il dopo Macron contro la destra nazionalista di Marine Le Pen. Sarà comunque Tajani a continuare a mediare. Lo dovrà fare cercando di riportare i francesi a un lavoro comune sui migranti in Nord Africa, in Tunisia, e in Libia, dove «le responsabilità di Parigi – sostiene il ministro riferendosi all’instabilità dei due Paesi – sono alte».
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