Investimenti e intuizioni, ecco i segreti dietro lo scudetto del Napoli

Al Napoli “rivoluzionario” dei tempi di Maradona si è gradualmente sostituito un Napoli “piccolo-borghese” costruito aggregando i figli calcistici delle periferie d’Europa. Alla società anti-elitaria e dedita alla guerriglia sportiva contro le grandi del Nord si è sostituita la macchina costruita da un presidente romano e da un manager fiorentino trapiantato sulla Via Emilia, portata al successo dal “toscanaccio” Spalletti, giunto al primo scudetto della carriera dopo essere partito dalla provincia come allenatore. Una macchina condotta al traguardo con pragmatismo che definiremmo senza problemi ambrosiano, con investimenti oculati e sfruttando l’attrattività cosmopolita di Napoli, di cui ha contribuito a valorizzare notevolmente l’immagine.

I colpi “provinciali” di Giuntoli e De Laurentiis

Il Napoli di Maradona era la splendida armata guidata da un condottiero, quello di De Laurentiis, Giuntoli e Spalletti una squadra di alpinisti che scala in cordata e non intende la conquista del primo Ottomila, lo Scudetto, come un punto d’arrivo, ma come una partenza. “Le grandi montagne hanno il valore degli uomini che le salgono, altrimenti non sarebbero altro che un cumulo di sassi”, amava dire chi di alpinismo se ne intendeva come Walter Bonatti. Ebbene, la grande montagna del Napoli, il terzo scudetto, è stata scalata aggiungendo valore agli investimenti fatti.

Qualche esempio? I padroni del centrocampo del Napoli, Andrè Zambo Anguissa e Stanislav Lobotka, sono stati prelevati dal Fuhlam inglese e dal Celta Vigo spagnolo rispettivamente per 16 e 20 milioni di euro. Ora ne valgono oltre il doppio. Piotr Zielinski, Mario Rui e il capitano Giovanni Di Lorenzo sono stati acquistati dall’Empoli, “principessa” delle provinciali, per complessivi 26 milioni di euro e sono diventati colonne del club campano. Il portiere Alex Meret è stato “pescato” dalla Spal e il roccioso centrale Kim Min-Jae è arrivato dal turco Fenerbaçe dopo la dolorosa cessione di Kalidou Koulibaly al Chelsea.

Koulibaly, Insigne e Dries Mertens, miglior marcatore della storia del Napoli che alla città partenopea ha dedicato pure il nome del figlio Ciro, sono l’esempio di una squadra che non ha paura di troncare storie consolidate e “romantiche” per un pubblico caloroso ma che sa guardare avanti. La freddezza con cui il pubblico napoletano contestò De Laurentiis e Giuntoli l’estate scorsa dopo il drastico rinnovamento è esemplificato dallo striscione riportato da Salvatore Esposito su Il Fatto Quotidiano. ” “Kim, Merit, Marlboro, tre pacchetti dieci euro. Pezzente non parli più, paga i debiti e sparisci”, recitava lo striscione della curva del Diego Armando Maradona contro De Laurentiis, su cui si scagliarono le intemperanze del “Movimento A16”, formazione di tifo organizzato che prende il nome dall’autostrada Napoli-Bari, città della cui squadra il produttore romano è proprietario e in cui si invitava gentilmente De Laurentiis a riparare.

Uno scudetto “nordico”

“Del resto questo è un tricolore all’opposto di quelli conquistati tre decenni fa nella golden age di Diego Armando Maradona. È un titolo che non solo ha sorpreso e spiazzato la città, ma che è frutto di una programmazione attenta ai bilanci, uno scudetto nordico o milanese se vogliamo continuare nelle provocazioni”, fa notare Esposito. “All’epoca, poi, gli scudetti furono vissuti come un riscatto dell’intero Mezzogiorno vessato atavicamente dal Nord e Maradona venne trasfigurato in un sovrano capopopolo come Masaniello”, mentre “in questo Napoli ci sono giocatori di 18 nazionalità e parlare in dialetto non è obbligatorio”. Lo scudetto della programmazione, dunque. Testimoniato dalla capacità della società di acquistare puntandovi tenacemente gli uomini simbolo del tricolore: Khvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen.

Osimhen è il colpo più costoso della gestione Giuntoli e della storia del club campano: nel 2020 De Laurentiis ha scucito al Lille ben 75 milioni di euro per aggiudicarselo. Anche in questo caso, difficilmente parleremo di un colpo che però si tradurrà in una minusvalenza, visto il contributo decisivo dato dal capocannoniere nigeriano al tricolore. Il tutto, peraltro, in una sessione di calciomercato ove il Napoli registrò un surplus di 45 milioni di euro. L’estate scorsa, invece, “Kvara” è giunto per 11 milioni di euro dalla piccola Dinamo Batuni della nativa Georgia. Risultando il prospetto più interessante e talentuoso del campionato.

La scalata del Napoli è giunta dunque alla sua prima vetta. Da quella partita con la Vis Pesaro sono passati poco meno di diciannove, lunghi anni. Nel frattempo, il club ha conquistato quattro secondi e quattro terzi posti in Serie A, tre Coppe Italia e una Supercoppa Italiana. Lo scudetto odierno non viene per caso e non è un accidente della storia, ma il trionfo di un progetto. E proprio per questo potrebbe essere solo l’inizio.

IL GIORNALE

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