Governo al lavoro per la svolta presidenzialista

In questo caso, se la riforma andasse in porto, oltre a dotare il presidente del consiglio di poteri più volte promessi e mai realizzati, come ad esempio il diritto di scegliere, ma anche licenziare i ministri, muterebbe a favore di Palazzo Chigi il rapporto con il Quirinale. Inoltre si creerebbe qualche problema tra governo e Parlamento. Perché l’Italia resterebbe formalmente, forse solo formalmente, una repubblica parlamentare: ma per garantire alle Camere il diritto di sfiduciare un esecutivo si arriverebbe al paradosso di un governo scelto da milioni di elettori che verrebbe mandato a casa da un paio di centinaia di deputati o di senatori. Una contraddizione difficile da sanare.

Esaurito il lavoro preparatorio, la decisione politica spetta a Meloni. Che la prenderà, com’è stato annunciato ieri, anche in base all’atteggiamento delle opposizioni. Se ci sarà una compatta levata di scudi, con l’uso di argomenti di propaganda come «il tentativo di stravolgere la Costituzione», la premier dovrebbe valutare se aggiungere il problema della Grande Riforma ai tanti che ha già, o ripiegare verso un compromesso. Dall’interno della maggioranza, infatti, non si avvertono cori da crociata. Salvini ha portato a casa l’autonomia differenziata per le regioni, ed è quel che gli interessava. Sa che le due riforme, presidenzialismo e autonomia, o marciano insieme o insieme deperiscono. Ma sulla prima è Meloni a decidere: e il Capitano certo non si straccerebbe le vesti a vedere la sua alleata muoversi sul ciglio di un dirupo e alla fine magari precipitarci dentro, come accadde a Renzi. Quanto a Berlusconi, assorbito com’è dai suoi problemi di salute, gli rimangono poco tempo e risorse da dedicare ad altro. Si metterà anche lui in tribuna a godersi lo spettacolo.

Ma se invece le opposizioni, tutte o in parte, decidessero di andare a vedere il gioco? Se Schlein, che finora non ha voluto pronunciarsi, affidando al capogruppo al Senato Boccia il compito di trattare con Casellati, obiettasse: si può discutere di un rafforzamento dei poteri del presidente del consiglio, non della sua elezione diretta, contraria allo spirito della Costituzione? E se Conte – candidato virtuale, come Meloni, alla prima sfida popolare – facesse un’apertura? Paradossalmente tutto diventerebbe più complicato per la donna che ha fatto del dialogo diretto con gli elettori la sua piattaforma. Facendo un passo indietro, rinunciando all’elezione diretta, si piegherebbe per la prima volta. E se invece scegliesse di rilanciare, il presidenzialismo, più che il premierato, si presterebbe meglio a diventare la sua bandiera.

LA STAMPA

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